Quando si parla di dialisi si pensa subito a patologie renali. Ma cosa succede se si applica su pazienti con problemi respiratori? Ecco cosa ha rivelato uno studio tutto italiano.

La BPCO, broncopneumopatia cronica ostruttiva, è un’affezione polmonare progressiva e non completamente reversibile. È caratterizzata da infiammazione cronica delle vie aeree e del parenchima polmonare, che porta a ostruzione bronchiale con limitazione del flusso aereo e quindi difficoltà respiratorie. La principale causa è il fumo, seguito da inalazione di inquinanti e in rari casi possono esserci anche forme associate a deficit enzimatici. I sintomi principali sono dispnea e tosse produttiva per più di tre mesi all’anno e per più di due anni consecutivi.
In tutto il mondo, la BPCO colpisce 329 milioni di persone, quasi il 5% della popolazione. Nel maggio 2014 è stata classificata come la terza causa di morte al mondo, essendo responsabile di oltre 3 milioni di decessi. E i numeri sono destinati ad aumentare per gli alti tassi di fumatori e per l’invecchiamento della popolazione, fino ad arrivare ad avere una mortalità che varierà tra il 30 ed il 50%.
È in questo scenario che si inserisce lo studio portato avanti dalla Città della Salute di Torino e dal Sant’Orsola di Bologna.
Per la prima volta al mondo si è praticata la dialisi polmonare in casi di recidiva di BPCO con imminente fallimento della ventilazione non-invasiva. Quando i pazienti giungono in pronto soccorso con gravi difficoltà respiratorie, vengono solitamente trattati con ventilazione non-invasiva, ovvero viene fornito un supporto ventilatorio attraverso le vie aeree superiori del paziente utilizzando maschere o altri devices. Nel 40% delle forme più severe di insufficienza respiratoria con ipercapnia però, questo non è sufficiente e si rende necessaria l’intubazione endotracheale per ristabilire un adeguato scambio gassoso. Il ricorso alla ventilazione invasiva comporta un non indifferente aumento della mortalità. Rimuovere in modo efficace l’eccesso di anidride carbonica apportando miglioramenti agli scambi alveolari, senza dover intubare il paziente e quindi riducendo notevolmente i rischi di complicanze, ecco il fine della dialisi polmonare.
Così come per la più nota dialisi renale, anche questo sistema depura il sangue del paziente, rimuovendo l’anidride carbonica grazie a un ossigenatore e a un emofiltro in vena.
Tra il 2011 e il 2013, 25 pazienti affetti da gravi recidive di BPCO sono stati sottoposti a ventilazione non-invasiva associata a dialisi polmonare, e sono stati messi a confronto con 21 sottoposti solo a ventilazione non-invasiva. I risultati sono stati molto incoraggianti: l’uso della dialisi polmonare ha ridotto l’incidenza di intubazione dal 33% al 12 %, e la mortalità dal 35% al 7%. Questi dati possono fornire il punto di partenza per futuri trial clinici, che potranno validare l’uso dialisi polmonare e farla entrare nella pratica clinica. In un’intervista per Repubblica, Marco Ranieri, responsabile delle terapie intensive della Città della Salute, afferma:
“Se sarà confermato su grandi numeri, è un metodo da premio Nobel” – dott. Marco Ranieri
Noi non possiamo che augurarcelo!
Approfondimenti| Critical Care Medicine – Ottobre 2014