Frontiere, speranze e novità forniteci giornalmente dalla ricerca in campo biomedico ove medici, ingegneri e biologi sono intenti a migliorare sempre più i presidi. “Abbattere la barriera della disabilità”: un motto innanzitutto culturale.

I cambiamenti, come gli incidenti, accadono per tutti. Specialmente in quei luoghi pericolosi dove il rischio è maggiormente presente. Non serve allontanarsi dalla propria cittadina per immaginare luoghi lontani, esotici, misteriosi, dove la fauna locale pullula di viventi capaci di smembrare un corpo umano con relativa facilità per il proprio pasto giornaliero. Oppure teatri di guerra in corso, in cui le mine antiuomo ogni anno mutilano uomini e bambini indiscriminatamente anche decenni dopo essere state posizionate ed attivate.

Basti pensare ai luoghi di lavoro che frequentiamo senza accorgercene ogni giorno: camminiamo sotto un ponteggio, acquistiamo un prodotto industriale o fatto a mano, persino un dolce in una pasticceria. Ogni giorno viviamo nel campo delle possibilità, in cui può succedere qualcosa di grave.

Rituali scaramantici a parte, per questo prestiamo la minima attenzione ogni volta che compiamo il più piccolo gesto: che sia l’affettare un pomodoro o spaccare la legna non ha importanza. Non ci vuole niente a distrarsi, e i danni possono essere irreparabili.

È ciò che accade, infatti, a coloro che ogni giorno subiscono un infortunio: in Italia, nei luoghi di lavoro quest’anno i soli decessi legati alla mansione sono stati 489 dal 1° gennaio al 28 settembre. I feriti, invece, sono molti di più, incalcolabili con certezza. Basti pensare a quanti sono, infatti, i lavoratori in nero nel nostro paese, non catalogati e assicurati, lasciati al loro destino in caso di infortuni.

Cosa si può fare, come si può rimediare dopo aver subito infortuni gravi, in cui dita o interi arti non riescono a mantenere la loro funzionalità o peggio, vengono  persi?

Ben poco, purtroppo.

L’unica alternativa attualmente possibile è una protesi. Non è come avere l’arto originario, ma è meglio di niente. Nel caso delle mani, l’arto sostitutivo ha dei ganci semimobili per cercare di emulare le dita, mentre per quanto riguarda le gambe le protesi cercano di essere il più mobili possibili per favorire la deambulazione e la vita quotidiana.

Per cercare di rimediare a questo problema, negli ultimi decenni con l’avanzare della robotica e della meccanica è nata una nuova branca dell’ingegneria, la bionica.

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Un neurone su piastra

Nata dalla fantascienza e resa concreta nel mondo reale, il suo obiettivo è quello di sostituire parti umane non funzionali con parti meccaniche funzionali e governabili dal cervello, ove possibile. Uno dei primi esempi? L’impianto cocleare, utilizzato per curare alcuni tipi di sordità congenita o acquisita.

Ad oggi, sono state create numerose protesi tecnologicamente avanzate. La prima della mano attualmente disponibile per il pubblico è la I-Limb, lanciata sul mercato nel 2007. Da allora oltre 1300 persone l’hanno acquistata. Il costo è ancora molto elevato dato l’enorme quantitativo di ricercatori e di professionisti (neurologi, chirurghi, ingegneri, matematici, informatici) richiesti per ogni singola protesi “intelligente”. Più sono tecnologicamente avanzate e simili al vero arto, più sono costose e proibitive.

Diversamente dalle altre, queste protesi moderne utilizzano un evento curioso molto studiato dalla neurologia, la “sindrome dell’arto fantasma”. Ci sono varie teorie riguardo l’origine di questo fenomeno: a causa del taglio della terminazione di un assone, nel punto di rescissione resta attiva l’attività elettrica, trasmettendo al cervello la sensazione che l’arto è ancora presente; oppure, nonostante la perdita della terminazione nervosa, l’area del cervello preposta al controllo e alle sensazioni preposta a quella parte del corpo continua a elaborare informazioni relative all’arto nonostante non ve ne siano.

L’uomo che ha perso parte del suo corpo riesce come ad avvertire la ” presenza” dell’arto oltre il moncone, e le sensazioni dolorose o tattili. Ma qual è per loro la cosa più fastidiosa? Il sentire prurito su una mano, una gamba o braccio che non c’è più, e il non potersi grattare in nessun modo.

Ma la scienza come sfrutta questa sindrome?

Innanzitutto nel moncone vengono innestati dei circuiti elettronici, su cui si cerca di far “attecchire” l’assone.   È  questa la struttura principale, la chiave tra la meccanica e la biologia. È questa infatti, che permette la comunicazione tra cervello e arto meccanico: riceve l’impulso biologico, lo elabora e invia l’ordine agli altri componenti permettendo il movimento. È una interfaccia neurale.

Ma qual è la situazione  attuale? Come procede la ricerca?

Oltre alla I-hand, si hanno anche altri arti, quali braccia e gambe. L’esempio più lampante di braccio e spalla bionica è quello di Claudia Mitchell, ex marine che ha perso il braccio in un incidente motociclistico, la prima donna con un braccio bionico, un prototipo tra i più avanzati prodotto dall’Istituto di Riabilitazione di Chicago. Attualmente, dal 2006  lei è tra le pochissime a poter utilizzare una protesi di questo tipo (spalla, braccio, gomito, avambraccio, polso e mano comandabili con la mente), ed è la prima generazione di questo tipo di protesi così complesse. Prima di lei, solo altre 3 persone montavano questo prototipo. Il prezzo, però, resta ancora proibitivo: 80.000 $, e, per svilupparlo e progettarlo, sono stati necessari oltre 3 milioni di dollari spesi in ricerca.

Anche l’Italia è tra i primi in questi campi: il lavoro congiunto della  Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, dell’Istituto di Biorobotica, dell’Università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma, dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, l’IRCSS San Raffaele di Roma, l’Istituto IMTEK dell’Università di Friburgo hanno portato alla creazione della mano Life2Hand, capace di trasmettere anche le sensazioni tattili.

Tra gli arti inferiori intelligenti disponibili , capaci persino di correre e ballare, si hanno quelli proposti da Hugh Herr, direttore del gruppo di ricerca di Biomeccatronica del MIT. Il sito web su cui si possono osservare le ricerche del suo gruppo è www.ted.com

Infine, la protesi di mano. Prodotta dalla Bebionic, e soprannominata “Terminator Arm”, pubblicizzata come la più tecnologicamente avanzata e capace di eseguire quasi tutti i comandi impartitagli. Con essa ci si può persino allacciare le scarpe.

Prezzo: 30.000 $

Certo, restano protesi per pochi e non saranno mai come un arto vero, la mano o la gamba con cui siamo nati. La tecnologia fa sempre passi avanti da gigante ogni anno, e si spera che presto diventino a portata di quasi tutte le tasche. Almeno non si avrà più un moncone e qualche gancio poco utile durante la vita di tutti i giorni. E guardandole, si proveranno di certo meno emozioni e tristezza.