Ci sono polli che meritano di essere citati nella storia della medicina. Sono i polli di Paracelso, che nella prima metà del ‘500 aveva mescolato alcol e acido solforico ottenendo “acqua bianca”: etere, diremmo oggi. Alcuni polli ne bevvero un po’ e caddero profondamente addormentati. Paracelso assistette alla scena e ne rimase impressionato, e annotò di farne uso nel trattamento delle malattie dolorose.
Per essere sottoposto ad un’operazione il paziente deve necessariamente essere sottoposto ad un’anestesia, che serve a bloccare il dolore ed a proteggere l’organismo dall’aggressione chirurgica. Per millenni, le storie di chirurgia ed anestesia sono state e sono tutt’ora legate indissolubilmente, è infatti accettato unanimemente il fatto che i grandi progressi della chirurgia si debbano principalmente ai progressi dell’anestesia.
Già in Mesopotamia nel 3000 a.C. si comprimevano le carotidi dei pazienti per far loro perdere conoscenza, successivamente gli Egizi utilizzarono la neve per far diminuire la sensibilità e più tardi la cosiddetta “pietra di Menfi”. In epoca Romana Plinio il Vecchio descriveva le proprietà sedativa della mandragora, con il passare dei secoli e lo svilupparsi di conoscenze erboristiche, si cominciò a praticare l’anestesia servendosi delle più varie sostanze(hashish, oppio, alcool, ecc) o tramite l’ischemia d’arto. Ci sono arrivati infatti ricette di anestetico risalenti al nono secolo nei pressi di Montecassino, del tredicesimo secolo da Bologna, e del quindicesimo secolo, dal ricettario di Caterina Sforza.
Per quanto possa apparire sorprendente, l’anestesia moderna comparve solo nella prima metà XVIII secolo: in questo periodo i ragazzi statunitensi amavano condire i loro party con l’etere, che, per usare un’espressione dell’epoca, conferiva ai party una “gaia ebrezza”.
Il giovane medico Crawford Long, constatato il potere anestetico dell’etere, lo utilizzò in due interventi: nell’asportazione prima di due piccoli tumori, nell’amputazione di due dita successivamente. Altra leggenda vuole che Long abbia osservato il potere dell’etere durante uno spettacolo di saltimbanco.
Il secondo medico a servirsi di questa tecnica è stato Horace Wells.
Tuttavia ad essere conosciuto, erroneamente, come padre dell’anestesia è il dottor William T. Morton, dentista di Boston. Utilizzò l’etere nel 1846 per estrarre un dente e nel 1848 concepì un macchinario per anestesia, convincendo il chirurgo John Warren Jackson ad utilizzarlo. Jackson lo utilizzo con successo per due interventi e l’anestesia, improvvisamente, prese quota. Nel 1847 arrivò il cloroformio, e con esso il primo parto indolore. In Europa l’etere fu usato per la prima volta in un intervento chirurgico nel 1846, mentre fu utilizzato in Italia per la prima volta in Italia il 2 Febbraio 1847 all’ospedale Maggiore di Milano.
Al giorno d’oggi, le tecniche anestetiche sono svariate: disponiamo di anestesia generale, anestesia loco-regionali, anestesia subaracnoidea, anestesia peridurale, anestesia dei nervi ed anestesia locale. Queste tecniche vengono praticate con un ampio margine di sicurezza grazie agli enormi progressi tecnico-farmacologici dell’ultimo secolo.
Le principali tecniche di somministrazione sono quella endovenosa e quella inalatoria, oppure la combinazione delle due. Tra i farmaci più utilizzati vi sono il sevoflurano , l’isoflurano ed il desflurano per le anestesie generali, procaina, clorprocaina, lidocaina, bulvipacaina per le anestesie loco regionali. La somministrazione di questi farmaci e il monitoraggio del loro effetto viene svolto da un medico anestesista, cui preparazione e competenza sono ormai indispensabili in qualsiasi intervento chirurgico.