I nostri avi ci vedevano bene già secoli fa: per loro il latte materno è sempre stato considerato il nutriente più importante per il neonato. Da anni ci si chiede cosa lo renda così speciale e inimitabile ma, nonostante il progresso scientifico, non si riesce ancora a riprodurlo fedelmente. I ricercatori della University of Western Australia sono riusciti a scoprire però l’ingrediente segreto che potrebbe aprire numerosi nuovi scenari nel mondo dello sviluppo: le cellule staminali!

Grazie al progresso in ambito medico si è potuto provare scientificamente che le semplici tradizioni popolari, come spesso accade, poggiavano su solide basi di realtà. Le ragioni della superiorità del latte materno (ampiamente anticipato dai nostri predecessori) rispetto alla controparte vaccina, possono essere sintetizzate essenzialmente in tre punti fondamentali: ragioni nutrizionali, immunologiche e psicologiche.

Dal punto di vista nutrizionale la composizione del latte “naturale” è, infatti, incredibilmente perfetta: contiene una bassa quantità di proteine, con prevalenza di sieroproteine e minore concentrazione di caseina; è fonte di acidi grassi insaturi essenziali, amminoacidi importanti per lo sviluppo neurologico (come la taurina) e lattosio, fondamentale come fonte di prima energia e per l’assorbimento del calcio. Tutti elementi, questi, che lo rendono estremamente facile da digerire.

Dal punto di vista immunologico rappresenta una fonte importantissima di IgA, che forniscono al bambino una importante protezione dalle infezioni del tratto gastro-intestinale nei primi mesi di vita.

Dal punto di vista psicologico, invece, migliora significativamente il rapporto madre-figlio, importante nello sviluppo del lattante.

In aggiunta a tutto ciò, il latte materno è in grado di adattarsi progressivamente alle esigenze del bambino, andando in contro a modificazioni continue dei propri costituenti.

La storia ci insegna tuttavia che non è sempre possibile allattare, sia per cause materne (malattie infettive, malattie debilitanti, ipo-agalattemia, malattie psichiatriche) sia per ragioni dipendenti dal bambino (labiopalatoschisi, facile esauribilità del riflesso di suzione, prematurità, ecc.).

Nonostante i grandi progressi della industria farmaceutica, che ha messo a disposizione due diverse formulazioni di latte (Latte 1, per i primi 4 mesi di vita e Latte 2 per i successivi), la composizione del latte materno rimane ancora pressoché inimitabile e ancora nettamente superiore rispetto alla controparte vaccina.

La maggior parte degli studi si sono concentrati prevalentemente sulla componente immunologica del latte materno e, più in particolare, sui leucociti presenti in esso. Negli ultimi dieci anni, la ricerca ha adottato un approccio multidisciplinare per ampliare le vedute e sembra che i primi a venirne a capo siano stati i ricercatori della University of Western Australia, diretti dalla ricercatrice greca Foteini Hassiotou.

Anche loro si sono chiesti a lungo il motivo per cui questo gap tra latte artificiale e latte materno sia così difficilmente riducibile e sono voluti andare oltre le semplici ragioni nutrizionali e immunologiche.

Ciò che hanno scoperto è che, insieme ai numerosi nutrienti contenuti nel latte materno, vi è una quota importante di cellule staminali multipotenti che vengono trasmesse dalla madre al figlio durante il corso dell’allattamento.

Per lo studio sono stati creati dei topi femmina con un gene chiamato Td-Tomato, che ha la peculiarità di fungere da marcatore quando sottoposto a fluorescenza. È venuto fuori che le femmine geneticamente modificate che allattavano topi non modificati trasmettevano cellule staminali (riconoscibili tramite il marcatore) in grado di essere assorbite dai piccoli allattati. Queste stesse cellule sono state ritrovate come componenti del tessuto nervoso (in particolare nel cervello) del fegato, cartilagine e, in piccola parte, del pancreas.

Questo importante risultato apre degli scenari senza dubbio nuovi per quanto riguarda la crescita e lo sviluppo del bambino e supporta la tradizionale tesi che allattare al seno per i primi mesi o, addirittura, i primi 2 anni di vita rappresenti una importante fonte di protezione e crescita per il bambino.