Dopo la recente scoperta che ha permesso di individuare il luogo preciso all’interno della cellula in cui il virus dell’HIV riesce ad eclissarsi, rendendosi difficilmente attaccabile dai farmaci, un nuovo studio americano ha evidenziato la concreta possibilità di debellare il virus responsabile dell’AIDS agendo direttamente sul sistema immunitario, addestrandolo con interventi mirati e personalizzati.

Da sempre la cura dell’AIDS rappresenta uno degli obiettivi principali della ricerca bio-medica: nonostante negli ultimi anni il trattamento dei pazienti affetti dalla sindrome sia andato incontro a progressivi miglioramenti,  ad oggi non si è in grado di proporre una terapia farmacologica in grado di indurre la regressione totale della malattia. La causa principale di queste oggettive difficoltà risiede nelle caratteristiche del virus responsabile dell’AIDS, l’HIV: nonostante la relativa semplicità strutturale che lo accomuna a molti altri virus, l’HIV mostra una spiccata aggressività, che unita ad una sua peculiare “astuzia” biologica, lo rende resistente ai farmaci.

Schema illustrante le modalità con cui l'HIV penetra e infetta la cellula
Schema illustrante le modalità con cui l’HIV penetra e infetta la cellula

 

Partendo da questi presupposti un team internazionale di ricercatori della Rockefeller University di New York, della Harvard Medical School di Boston e delle Università di Colonia e Friburgo ha proposto un innovativo approccio terapeutico, basato sulle potenzialità di un particolare anticorpo, il 3BNC117. Quest’ultimo, come riportato dallo studio pubblicato sulla rivista “Nature”, sarebbe in grado di ridurre fino a 300 volte la concentrazione del virus del sangue dei soggetti sieropositivi, con un’efficacia garantita per varie settimane.

In particolare, i ventinove pazienti su cui è stata sperimentata la cura sono rimasti sotto osservazione per 56 giorni ed hanno palesato una riduzione massima di 250 volte del carico virale, per un periodo consecutivo di 28 giorni e con un’efficacia su ben 195 dei 237 ceppi dell’HIV.

 

Ricostruzione della struttura dell'anticorpo 3BNC117
Ricostruzione della struttura dell’anticorpo 3BNC117

In realtà studi precedenti avevano dimostrato che l’immunizzazione passiva (tecnica che prevede l’infusione di anticorpi nel torrente circolatorio, ndr) sarebbe in grado di ridurre i livelli di HIV nel sangue di scimmie e topi, ma fino ad ora questo approccio non aveva funzionato sull’uomo, soprattutto perché gli anticorpi utilizzati in tali circostanze erano di vecchia generazione e, quindi, del tutto inadatti a neutralizzare i diversi ceppi di un virus tanto resistente quanto l’HIV.

3BNC117 è invece lo straordinario risultato del decennale lavoro dei ricercatori che ha permesso la creazione di nuovi e più efficaci anticorpi. In particolare 3BNC117 è stato isolato dagli stessi pazienti affetti da AIDS.

Spesso, infatti, l’organismo infettato dal virus riesce a specializzarsi, dopo alcuni anni dal contagio, nella produzione di anticorpi anti-HIV: purtroppo la progressiva e devastante distruzione del sistema immunitario causata dal virus stesso rende vana tale capacità acquisita dal soggetto.

Nonostante ciò, tali anticorpi anti-HIV risultano potenzialmente molto utili poiché è possibile isolarli, clonarli, studiarli e infine potenziarli in laboratorio: il risultato finale di questo processo è la creazione di una serie di anticorpi molto potenti da somministrare al paziente sieropositivo.  Nel caso specifico l’anticorpo 3BNC117, efficace anche contro altri ceppi virali,  riesce ad interagire in modo selettivo con il principale recettore del T CD4 con cui il virus dell’HIV si lega alle cellule umane (i linfociti) per infettarle, riuscendo dunque, anche se  solo temporaneamente,  ad abbassare la concentrazione del virus nel sangue.

I limiti dell’immunoterapia e le prospettive future.

Nonostante la sintesi in laboratorio di anticorpi molto potenti, i ricercatori si sono trovati di fronte ad una serie di problemi di non facile soluzione.

In primo luogo bisogna tener presente che il virus dell’HIV muta rapidamente quando si replica, riuscendo in tal modo a neutralizzare l’efficacia dei trattamenti nel corso del tempo, quando cioè il numero delle mutazioni cresce esponenzialmente. La conseguenza più immediata di tutto questo è che molto probabilmente un singolo anticorpo non potrà mai risultare completamente efficace. Nello specifico l’obiettivo dei ricercatori sarebbe quello di ottenere un anticorpo da utilizzare una sola volta l’anno per la prevenzione della malattia ed una combinazione di più anticorpi diversi per la sua cura. Purtroppo anche tale approccio non è esente da problematiche: è infatti necessario tener presente che la maggior parte delle persone affette da AIDS appartiene a paesi di basso reddito e dunque non potrebbe sostenere economicamente cicli terapeutici che possono arrivare a costare decine di migliaia di dollari.

Altri dubbi riguardano il ruolo preventivo degli anticorpi oggetto di studio, ruolo ancora tutto da dimostrare soprattutto in relazione alla loro potenzialità di arma da utilizzare nella profilassi post-esposizione usualmente attuata nei casi di persone esposte accidentalmente al virus dell’HIV, per esempio con uno scambio di siringa infetta o in seguito ad un rapporto sessuale a rischio.

Nonostante questi numerosi limiti ancora da superare, l’immunoterapia rappresenta indubbiamente una nuova strada da esplorare per provare a prevenire e debellare definitivamente l’infezione da HIV: non bisogna infatti dimenticare che, ipoteticamente, addestrando l’organismo di soggetti sani a produrre 3BNC117, in un futuro non troppo lontano si potrebbero gettare le basi per un vaccino contro l’AIDS.

Alessandro Savo Sardaro
Redazione | Università Degli Studi di Roma Tor Vergata VI anno corso di laurea in Medicina e Chirurgia “Choose a job that you love and you will never have to work a day in your life”.