Nel febbraio 2016 un gruppo di ricercatori italiani ed americani dell’Università di Trento in collaborazione con la Weill Cornell Medicine University di New York e il Dana Farber Cancer Institute di Boston hanno condotto ad un’importante ricerca pubblicata su Nature Medicine. Da questa ricerca emerge che le cellule tumorali dell’adenocarcinoma prostatico (tumore prostatico maligno più diffuso) sono capaci di cambiare il lineage di sviluppo cioè di cambiare il ‘proprio abito cellulare’ passando da cellule epiteliali a cellule neuroendocrine. Questo meccanismo di difesa e di adattamento sarebbe alla base di un fenomeno molto conosciuto e problematico nella terapia oncologica del cancro prostatico vale a dire la resistenza agli antiandrogeni (AIPC- Androgen Indipendent Prostate Cancer) che fa decadere drasticamente, quando insorta, l’efficacia della terapia.
Perché una cellula che da epiteliale diventa neuroendocrina è più difficile da eliminare?
La risposta deriva dal fatto che i target della terapia con una cellula neuroendocrina cambiano radicalmente. Le cellule neuroendocrine rappresentano un problema oncologico importante poiché hanno pochissimi recettori bersagliabili con i farmaci ed un’altissima resistenza alle chemioterapie. Questo le porta ad essere delle vere e proprie cellule killer quando cancerizzano: non è un caso che tutti i tumori maligni neuroendocrini (come polmone, prostata, utero) siano dei grossi grattacapi per la medicina.
Ovviamente una cellula tumorale che diventa neuroendocrina acquisisce notevoli vantaggi biologici in termini di sopravvivenza: è probabile che sia questa la ragione per cui la selezione clonale sia mirata proprio verso questo tipo istologico.
Quali sono le prospettive future?
Questa scoperta certamente getta le basi per molte riflessioni. In primis si è trovato un modello che possa spiegare un meccanismo per cui i carcinomi prostatici diventano presto insensibili alle terapie. In secondo luogo ci si dovrà sforzare d’ora in avanti di trovare delle modalità terapeutiche distinte da quelle classiche sin ora adottate ma che siano più compatibili con questo ‘nuovo abito’ che le cellule maligne adottano per sopravvivere.