Circa 1 bambino su 2500 nati vivi è affetto da fibrosi cistica. In Europa il numero di soggetti portatori sani è di 1 su 25. Tali stime permettono di considerare questa malattia come la patologia genetica rara ad esito letale maggiormente diffusa nella popolazione caucasica.

La fibrosi cistica è causata dalla mutazione a livello del cromosoma 7 del gene CFTR (Cystic Fibrosis Conductance Regulator) che codifica per l’omonimo canale di passaggio per il cloro. La trasmissione è di tipo autosomico recessivo. Le mutazioni responsabili della malattia sono svariate, quella più frequente riscontrata nel 70% degli individui affetti comporta un errato ripiegamento della proteina con ripercussioni sulla sua funzione. Questo canale è situato sulla membrana delle cellule secernenti delle ghiandole esocrine e di quelle situate a livello delle vie respiratorie, del tratto gastrointestinale e riproduttivo e riveste un ruolo importante nella loro attività secretoria. Per via di questa localizzazione diffusa è intuitivo capire come, una sua alterazione strutturale, comporti l’insorgenza di una patologia multiorgano cronica caratterizzata da insufficienza pancreatica ed infezioni persistenti delle vie aeree. In particolare, a livello dell’albero respiratorio, la ridotta secrezione ionica determina una disidratazione del muco che, oltre ad ostruire le vie aeree, favorisce l’attecchimento di batteri (Pseudomonas aeruginsa in primis) responsabili di polmoniti spesso difficili da eradicare.

Al momento non sono disponibili cure risolutive per la fibrosi cistica. L’approccio terapeutico maggiormente utilizzato è di tipo sintomatico, ovvero volto a contrastare i quadri patologici clinicamente evidenti senza andare ad agire su quella che è la reale causa: il difetto del trasportatore. Questo metodo comunque non evita l’insorgenza di riacutizzazioni e complicanze tanto da accorciare la speranza di vita media a 37 anni per gli individui omozigoti per Phe508del.

Pertanto risulta di fondamentale importanza la progettazione di nuovi farmaci mirati a migliorare la funzione endogena del CFTR. Dei grandi passi avanti in questa direzione sono stati effettuati dall’equipe medica del Seattle Children’s Hospital che, dall’aprile 2013 all’aprile 2014 ha portato avanti la fase 3 di due trial clinici paralleli patrocinati dalla Vertex Pharmaceuticals. In questi studi è stata testata per la prima volta l’efficacia della somministrazione combinata di due farmaci: il Lumacaftor e l’Ivacaftor (nome commerciale Kalydeco). Il primo è un correttore del CFTR che in vitro ha dimostrato di essere in grado di correggere la conformazione della proteina e di aumentare il numero di trasportatori localizzati sulla superficie cellulare; il secondo invece è un potenziatore dei CFTR mutati, già approvato dalla FDA, che aumenta il periodo di tempo di apertura dei canali. Questa terapia combinata è stata testata su un totale di 1108 pazienti, con un’età minima di 12 anni che mostravano l’omozigosi per Phe508del e il trattamento ha avuto una durata di 24 settimane. I risultati ottenuti hanno confermato l’efficacia e la sicurezza dei trattamenti, già evidente nelle precedenti fasi della sperimentazione, con un aumento della pervietà delle vie aeree già al giorno 15 dell’inizio della somministrazione.

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Purtroppo la durata dello studio non permette di stabilire quali siano gli effetti a lungo termine della terapia. I medici si ritengono comunque molto fiduciosi ed entusiasti del lavoro svolto alla luce degli evidenti miglioramenti registrati in gruppi di pazienti di tutte le età, di diversa provenienza geografica e con differenti livelli di severità del quadro clinico. In un comunicato stampa il dott. Ramsay, uno dei quattro autori della sperimentazione clinica, ha dichiarato che:

“Adesso i pazienti possono godere di periodi di salute più lunghi, che migliorano di molto la qualità della loro vita”. – (Dott. Ramsay)

| Fonti: Articolo del NEJM