Diagnosticare un disturbo psichiatrico nei neonati è spesso una sfida che pochi decidono di affrontare. La diretta conseguenza di ciò non può che essere una diagnosi più tardiva e, con questa, un inizio delle cure ritardato a scapito di una percentuale di miglioramento.

Patologie che bene rappresentano questa modalità sono i Disturbi dello Spettro Autistico (DSA): la diagnosi avviene solo raramente entro il primo anno di vita mentre la maggior parte dei casi supera i quattro anni. A cause delle comprensibili difficoltà della questione questi dati devono essere valutati positivamente ma nuovi studi potrebbero completamente ribaltare il quadro.

Una ricerca italiana pubblicata sulla rivista “Scientific Reports” con titolo “Difference in Visual Social Predispositions Between Newborns at Low- and High-risk for Autism” mette in evidenza la possibilità di fare diagnosi di autismo già entro il decimo giorno di vita.

Lo studio ha confrontato il comportamento di neonati considerati ad alto rischio, in quanto riconosciuta una forte familiarità per la patologia, con neonati a basso rischio: il test a cui sono stati sottoposti consisteva nel mostrare stimoli sociali e stimoli casuali e valutare poi le singole reazioni.

Da quanto osservato i neonati ad alto rischio mostravano un ridotto interesse verso gli stimoli sociali ponendo invece maggiore attenzione verso gli stimoli definiti casuali. Al contrario, i neonati a basso rischio erano solo minimamente condizionati dagli stimoli casuali mentre risultavano catturati dagli stimoli sociali. Semplificando, possiamo considerare normale avere più interesse, ad esempio, nei confronti di uno sguardo ben definito e diretto piuttosto che di una sua rappresentazione distorta e sfuggente.

Il test è stato definito Test dello Sguardo e se verrà confermata la sua utilità permetterà di ampliare la classe di neonati considerati a rischio così da poter essere monitorati e trattati adeguatamente e precocemente: il tutto sarebbe paragonabile a un test di screening a basso costo ed alto beneficio.

La ricerca è però solo al suo esordio, lo studio è stato svolto su un piccolo campione (in tutto solo 29 bambini, di cui 13 ad alto rischio e 16 a basso rischio) e bisognerà per lo meno valutare l’evolversi dei particolari casi studiati nei prossimi anni.

Come per ogni ricerca che tenti di migliorare l’approccio a qualsiasi patologia non possiamo che essere ottimisti, allo stesso tempo, tuttavia, considerate le troppe speculazioni sulle malattia trattata, non possiamo che essere doppiamente soddisfatti nel poter effettuare la diagnosi prima di qualsiasi vaccinazione a cui poter dare successivamente una “colpa”.

Basti il piccolo riferimento, senza eccessive note polemiche, così che chi davvero vuole conoscere la realtà possa  attivarsi ed informarsi nel modo più appropriato.

Si è ribadita qui l’importanza della diagnosi precoce e del conseguente trattamento precoce ma ancora più importante che trattare precocemente è non trattare del tutto poiché si è riusciti a prevenire: i vaccini servono esattamente a questo.

Fonte | Nature

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Redazione | Nato a Como il 26 Febbraio 1994, frequento il terzo anno del corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Diffido di chi crede che la Medicina sia esclusivamente Curativa e, nel mio piccolo, cerco di dimostrare il contrario anche in questa sede: it's not about curing, it's just about caring.