Negli ultimi quindici anni, si è molto parlato della Sindrome dei Balcani, la presunta aumentata incidenza di neoplasia – in particolare proprio di Linfoma di Hodgkin- nel personale militare impiegato in Bosnia e Kosovo. In seguito al Decreto Ministeriale del 22 ottobre 2002, è iniziato un lungo follow up del personale impiegato nei Balcani, il cosiddetto Protocollo Mandelli.
L’Osservatorio epidemiologico della difesa (OED) ha raccolto i casi di neoplasia nel personale delle forze armate (Esercito Italiano, Carabinieri, Marina Militare e Aeronautica Militare), in missione all’estero e non, nel periodo 1996- 2013. Le evidenze hanno mostrato che, complessivamente, il numero di casi osservati nella popolazione militare, non differisce significativamente da quello dei casi attesi della popolazione generale di riferimento.
Il Linfoma di Hodgkin è una neoplasia ematologica che si presenta clinicamente con ingrossamento linfonodale indolente, localizzato più frequentemente a livello dei linfonodi laterocervicali o sovraclaveari. Istologicamente, invece, è caratterizzato dalla presenza delle cellule di Reed Sternberg, cellule anomale derivanti dai linfociti B dei centri germinativi linfonodali.

Attualmente, è una delle neoplasie con maggior successo terapeutico, con sopravvivenza a 5 anni >80%. L’Organizzazione mondiale della Sanità, sulla base dei dati al 2012, vede l’Italia come il paese europeo con maggior incidenza e prevalenze del LH nell’adulto, mentre Bosnia- Herzegovina, Serbia, Albania e Montenegro (Area Balcanica) rappresentano i paesi con minore incidenza/prevalenza di casi.
E dallo studio dell’OED emerge anche un’aumentata incidenza del LH nel Sud Italia, rispetto al nord e come i militari colpiti provengano maggiormente dal Centro-Sud italia, indipendentemente dal luogo dove prestavano servizio.

Questi dati suggeriscono come il patrimonio genetico e/o l’ambiente nei primi anni di vita potrebbero definire la predisposizione a sviluppare la malattia piuttosto che una sua relazione con semplici fattori ambientali, come la contaminazione di aree colpite da proiettili contenenti uranio impoverito.
La radioattività dell’uranio impoverito viene considerata di “basso livello” , perché produce particelle alfa che non attraversano il corpo. L’unica correlazione più verosimile tra esposizione all’uranio e cancro è quella del cancro del polmone, poiché le nano-particelle di uranio impoverito aspirate tramite aerosol possono depositarsi a livello del polmone ed emettere radiazioni alfa in loco, causando lo sviluppo di cellule neoplastiche.
Negli ultimi anni, inoltre, viene sempre più confermata una possibile eziologia virale del Linfoma di Hodgkin. Varie ricerche, rivelano la presenza del Virus Epstein Barr in circa il 90% delle cellule che compongono il linfoma. Il virus causa la cosiddetta “malattia del bacio”, poiché esso viene trasmesso principalmente dai fluidi corporei, come la saliva. Malattia che è molto frequente negli adolescenti e nei giovani adulti, cosa che si collega con la maggior incidenza del Linfoma di Hodgkin tra i 20 e i 35 anni.
In base a queste osservazioni e al fatto che, in generale, i militari colpiti presentano forme neoplastiche varie (Carcinoma polmonare, testicolare, prostatico, del colon-retto) e con alta incidenza sia nella popolazione militare che civile, non è possibile considerare il Linfoma di Hodgkin come patologia professionale, ad oggi.
Questo non impedisce, ovviamente, al Ministero della Difesa di garantire il massimo dell’assistenza al personale delle forze armate, per esempio istituendo degli ambulatori o dei centri di riferimento ad hoc per il personale militare colpito da neoplasia, e continuare a tenere alta l’attenzione sulla valutazione del rischio professionale e su eventuali mezzi di prevenzione attuabili.