Uno Stato che non sostiene la ricerca, soffre. Si possono verniciare di buone intenzioni tutte le cabine elettorali che si vogliono, ma oggi più di ieri, dati alla mano, bisogna fare i conti con una realtà impietosa. E spietata. Contrariamente perfino a quanto sancito dalla nostra Costituzione (vedasi un tal articolo 9), stiamo assistendo ad un ottuso, caparbio e sordo annichilimento della ricerca.

La quota minima del 3% del PIL da distribuire come sovvenzione a ricerca e sviluppo, secondo quanto sancito dalla Strategia 2020 adottata (almeno nominalmente) dai membri dell’Unione Europea, è chimera. Di fronte alla media OCSE del 2,37% il nostro timido 1,28% suona deprecabile. Lo dice l’analisi del bilancio di Stato: cresce la spesa pubblica corrente, eppure la ricerca è martoriata come nessun altro settore. La missione 17 (Ricerca e Innovazione), nell’arco temporale 2008-2014 passa da 4 miliardi di euro a 2,8 miliardi di euro. La missione 23 (Istruzione Universitaria) passa da 8,6 miliardi a 7,8 miliardi. Il calo totale è reguardevole. Infatti la ragioneria dello Stato in un’audizione al Senato evidenzia come le missioni più ridimensionate fra le 34 componenti il bilancio statale sono nell’ordine: Istruzione Universitaria (-19,9% in media), Fondi da ripartire (-14,5%), Ricerca e Innovazione (-12,7%). I fondi, tanto per rovesciar acido sulla ferita aperta, sono peraltro erogati per lo 0,70 per cento alla ricerca industriale, contro uno 0,16 per cento destinato ad enti pubblici, e per il restante 0,42% all’università. Se facessimo capolino fuori dal nostro Belpaese, ci troveremmo davanti agli occhi la Francia, dove sempre nel 2014 i finanziamenti pubblici all’università erano invece lo 0,99%, o la Germania, dove la quota degli stessi era del 0,98%. Dati, dati, dati. E lacrime.

Le risorse investite calano di consistenza, come zoppicano gli erogatori. Il Fondo Ordinario all’università (FFO), e il fondo ordinario agli enti (Foe), sono succubi di una incessante decurtazione. I finanziamenti competitivi PRIN (progetti di ricerca di interesse nazionale) e Firb (per i giovani ricercatori), sono quasi estinti- i primi inattivi dal 2012 a quest’anno, i secondi cessati nel 2013, entrambi dopo angosciante declino. I ricercatori sono costretti all’espatrio, si stima in 15’000: una voragine di intelligenza, creatività, passione, un buco che sanguina amaro per la sua evitabilità. Le manifestazioni culminano con un appello, firmato da 45000 scienziati italiani, che si rivolge all’Unione Europea perchè questa faccia pressioni sul Governo italiano. Un paradosso- come il fatto che si contribuisca con maggior misura ai fondi europei rispetto a quelli che si riescono ad assorbire per via dei progetti di ricerca presentati, che comunque risentono dell’esiguo numero di ricercatori. Nel 2013, in Italia il numero di ricercatori pubblici e privati per 1000 occupati (ovvero quanti ricercatori sono presenti ogni mille lavoratori) era un valore di molto inferiore a quello delle vicine Francia, Germania, Regno Unito.

A fianco di una prospettiva così piena di crepe e fragilità, cresce anche il disappunto (eufemismo) per trattamenti carezzevoli a fondazioni private come l’IIT, che nel 2008 ricevette fra le mani il patrimonio della fondazione IRI, stimato 130 milioni di euro, e che oggi ha ricevuto la concessione del progetto dello Human Technopole, con uno stanziamento che si vocifera si attesti attorno al miliardo e mezzo in dieci anni. Logica del traino? L’eccellenza che richiama eccellenze? Opinioni, e come tali opinabili- certo, è un motivo di riflessione. Il progetto coinvolge poi anche le università milanesi. Ma ci si chiede dove risieda il senso del decurtare di 1,1 miliardo di euro il pubblico sistema universitario intero, come da Legge di Stabilità 2016, e riversarne una quota anche maggiore in un unico progetto di matrice privata, seppur “diluiti” (sono 150 milioni di euro pubblici all’anno) in una decina d’anni. L’IIT si riserva poi di reclutare enti, ricercatori, idee, diventando di fatto un erogatore privato di fondi pubblici: un cortocircuito logico.

Le contraddizioni che animano il settore della Ricerca in Italia, dal finanziamento al labirintico meccanismo dei contratti (dalla fine quanto delicata venatura non-sense), si sorprendono feroci, quando ci si rende conto che la penalizzazione collettiva è solo un aspetto, come lo sono i dati, le polemiche, le opinioni. Ma presente e prepotente è il sacrificio individuale: dietro ogni progetto si sono schiuse delle idee; dietro alle idee, delle teste pensanti; sotto queste, dentro queste, respirano delle persone. Eviterò chiuse patetiche come elogi sperticati e inopportuni. Ma bisogna riconoscere che, in barba ad ogni malevolo, chi oggi fa ricerca in Italia e pone tutto il suo tempo e le sue capacità al servizio della scienza -ed in fondo, di noi tutti- in una simile gragnola di circostanze avverse, merita ben più di un plauso, di una pacca sulla spalla d’incitamento. Merita ben più dell’ammirazione.

Merita attenzione.

 

Fonti | Lavori del Parlamento italiano

Davide Dionisi
Nato il 5/09/1994, frequento la facoltà di Medicina e Chirurgia all'università Statale di Milano. Sono appassionato tanto di medicina quanto di attualità e tematiche sociali.