In Sud Africa il tasso epidemico di HIV è il più alto al mondo. In alcune aree geografiche la percentuale di individui sieropositivi si avvicina addirittura al 40%, senza calcolare tutti i casi che rimangono ancora da diagnosticare. Parliamo di un vero e proprio fronte di guerra che vede medici e ricercatori di tutto il mondo combattere in prima linea il virus HIV, tra enormi ostacoli sociali, economici e culturali. Un vaccino permetterebbe però di arginare il contagio, prevenendo una grossa percentuale delle 380.000 nuove infezioni che si verificano ogni anno.
Non esiste ancora una cura definitiva per HIV, sebbene siano a disposizione una serie di farmaci che assunti per l’intera vita del paziente tengono sotto controllo il diffondersi del virus all’interno dell’organismo. Nei paesi occidentali ciò consente alle persone sieropositive di condurre una vita pressoché normale, ma per le zone più povere del pianeta la situazione è molto più complicata. In primo luogo le terapie antiretrovirali utilizzate per combattere il virus hanno un costo proibitivo che supera i 10.000$ all’anno per singolo paziente, e sono sostenute a fatica da sistemi sanitari che si appoggiano su economie emergenti o molto deboli; secondariamente manca in questi paesi la cultura del sesso sicuro: nella maggior parte dei casi la popolazione non è consapevole dei rischi a cui è esposta, e a volte non possiede mezzi di prevenzione o non è in grado di utilizzarli correttamente. Fenomeni come la prostituzione e scarse condizioni di igiene infine non fanno che aggravare ulteriormente la situazione. La ricerca di una cura efficace contro HIV continua, ma in contesti come il Sud Africa un vaccino (anche parzialmente funzionale) risulterebbe rivoluzionario.
Il vaccino
Da poco si è concluso un primo studio su una formulazione realizzata proprio per essere utilizzata contro il clade C di HIV-1, il più presente in Sud Africa. Il vaccino è stato precedentemente testato sui macachi, ottenendo una protezione del virus totale. In un trial clinico preliminare 137 individui sani hanno ricevuto somministrazioni successive del preparato: nel 100% dei casi i soggetti hanno sviluppato anticorpi neutralizzanti e la risposta cellulare dei linfociti T raggiunge livelli apprezzabili. Una nuova fase di sperimentazione è stata appena annunciata, da novembre 5400 persone sane e ad alto rischio verranno vaccinate. Gli individui saranno poi seguiti per due anni, confrontando il tasso di nuovi contagi con le statistiche nazionali.
La composizione del vaccino ricalca quella utilizzata in un trial in Tailandia nei primi anni 2000. Consiste in due soluzioni che si sono rivelate scarsamente efficaci se usate da sole, ma che sembrano avere un potente effetto sinergico. La prima (ALVAC-HIV) è costituita da proteine ricombinanti di HIV, nello specifico gag, PR e porzioni di env; mentre la seconda contiene un potente adiuvante e una versione purificata di gp120, peptide che è esposto sulla superficie del virione (Bivalent Subtype C gp120/ MF59®). La somministrazione di questi preparati sarà ripetuta più volte nell’arco di un anno, mirando a rafforzare la risposta anticorpale e cellulare. La neutralizzazione più importante può avvenire a livello plasmatico: se gli anticorpi prodotti dall’organismo riescono a legare elementi virali esposti, HIV non sarà più in grado di fondere la propria membrana con una cellula bersaglio e infettarla. D’altra parte anche l’eliminazione di cellule già infettate risulta necessaria, e avviene tramite una risposta cellulo-mediata. L’alto tasso di mutazioni che caratterizza il genoma di questo virus è un grande ostacolo: non è noto ad oggi un singolo caso di guarigione, suggerendo che l’immunizzazione non può avvenire naturalmente. Tuttavia fornire all’organismo degli anticorpi ancora prima di entrare in contatto col patogeno potrebbe essere sufficiente a prevenire l’infezione.
La fine di HIV?
Nello scenario migliore in qualche anno il Sud Africa potrebbe finalmente disporre di una vera contromisura contro l’epidemia, e iniziare così a limitare sempre più i contagi, diminuendo col tempo il numero di terapie necessarie. Sarebbe una grossa rivoluzione ma non vanno certamente sottovalutati altri fronti. La prevenzione attraverso dispositivi semplici come il condom consente di proteggersi facilmente da HIV e da molte altre patologie meno note, ma tutt’altro che trascurabili (epatite C su tutte). Contromisure “sociali” come test su larga scala e una maggiore consapevolezza dei rischi rimangono la più grande arma di prevenzione contro questo virus, e costituiscono un atto di responsabilità sociale che non va trascurato. Concludiamo con un’estratto da un’intervista al professor Carlos del Rio, esperto di sanità globale e speaker della conferenza di Durban di quest’anno:
“Siamo alla fine dell’AIDS? Non credo. Penso che siamo all’inizio della fine dell’AIDS. Non concentrarci sull’obbiettivo potrebbe essere potenzialmente devastante.”

Per approfondimenti:
Nature: a new era for HIV
2016 AIDS conference
HIV in Sud Africa
Immagine in evidenza: Durban, 2016 AIDS conference