Si parla di nuovo di HIV, dopo il recente trial clinico e i numerosi progressi effettuati con l’editing genetico: questa volta si torna sul promettente campo dell’immunoterapia, dove scoperte eccezionali sono la routine. Non ultima quella fatta qualche mese fa da un gruppo di ricercatori del National Institute of Health (NIH) e pubblicato di recente sulla rivista Immunology, che hanno identificato N6, un anticorpo della famiglia delle immunoglobuline ad ampio spettro (bNabs). Dagli esperimenti in vitro sembra avere un’efficacia pari al 98% nel neutralizzare ceppi di HIV-1, con particolare riferimento a quelli resistenti alle altre immunoterapie, costituendo un fondamentale passo in avanti nello sviluppo di un vaccino efficace.
Nel caso del virus dell’HIV, (responsabile dell’AIDS, per ulteriori informazioni cliccare qua) da qualche anno a questa parte sono note classi di anticorpi detti “ad ampio spettro”, capaci cioè di eliminare più ceppi virali, by-passando il problema della specificità della risposta individuale. I ricercatori del NIH hanno individuato in N6, un anticorpo CD4bs della famiglia dei bNAbs, una molecola estremamente potente e versatile, responsabile della formidabile risposta anticorpale in un paziente che effettivamente neutralizzava quasi del tutto il virus.
Volendo indagare i motivi di tale effetto, gli studiosi, dopo vari tentativi, hanno scoperto N6, anticorpo che presentava numerose mutazioni somatiche sia sulla catena pesante (31%) che leggera (25%), seppur con diverse sequenze che accomunerebbero i membri della classe VCR01 (gli anticorpi ad ampio spettro più noti). Interessanti sono stati i risultati di test comparativi tra N6, VRC27, VRC01 e altri, utilizzando un pannello di 181 pseudovirus (virus senza genoma): i risultati hanno dimostrato che N6 è capace di neutralizzare il 98% dei preparati ad una concentrazione minore dei concorrenti (contro il 90% di VRC01), oltre al fatto che riesce a legare strutture proteiche mutate, in particolare la gp120 dell’envelope (che rende i virus resistenti) in misura maggiore rispetto ad altri anticorpi ad ampio spettro, risultando in una neutralizzazione di 16 su 20 ceppi resistenti agli altri bNAbs.
Le strabilianti proprietà molecolari dell’anticorpo sarebbero da attribuire, secondo le analisi condotte dai ricercatori, alle diverse mutazioni a carico delle catene pesanti e leggere, che consentono principalmente di:
- Evitare l’effetto sterico della molecola virale glicosilata V5, causa comune di resistenza;
- Tollerare mutazioni nel sito di legame, rendendolo utile anche in caso di variazioni rapide.
- Legare siti conservati tra i diversi ceppi virali, aumentando ulteriormente lo spettro d’azione.
Per quanto concerne l’applicazione clinica, diverse sono le caratteristiche che renderebbero N6 desiderabile per l’uso in terapia e profilassi: secondo gli autori, è un caso eclatante di potenza e capacità di legame, che lo rendono assolutamente più efficace di “anticorpi che sono ad ampio spettro ma a bassa potenza (VRC01), come anche di anticorpi molto potenti ma a basso spettro (PGT121 o PGDM1400)”, avendo dimostrato inoltre autoreattività e polireattività limitatissime ad una batteria di antigeni quali Hep-2, cardiolipina ed altri 9400 epitopi. Quella dell’autoreattività è un problema piuttosto sentito, che limita le applicazioni terapeutiche, ed è tipico degli anticorpi anti HIV-1: ebbene, N6 supera anche questa empasse.
Nonostante tutte queste belle proprietà, bisogna ricordare che l’effettivo utilizzo nella pratica è ancora piuttosto distante, siamo ancora ad un livello laboratoristico, ma sicuramente sentiremo ancora parlare di N6 e la sua famiglia come i principali attori nella dura guerra contro l’HIV, che, grazie agli sforzi di ricercatori e medici, sembra sempre più vicina alla sua conclusione.
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