Non possiamo vederlo né sentirlo. È inodore e insapore, ed ogni anno uccide centinaia di persone in tutto il mondo. La soluzione al triste indovinello vi è già stata svelata: monossido di carbonio (CO). Questa molecola, prodotta principalmente da processi di combustione incompleti, è estremamente pericolosa per il nostro organismo. Il gas è in grado di uccidere a bassissime concentrazioni, e fino ad oggi la camera iperbarica, ossia la somministrazione di ossigeno ad alta pressione, è l’unico rimedio conosciuto.
Le vittime
È difficile stimare il numero annuale di intossicazioni dovute al monossido di carbonio, infatti molto spesso delle esposizioni non mortali non vengono correttamente diagnosticate. Tuttavia i dati sottolineano come questo gas sia la più grande fonte di morti e infortuni per avvelenamento al mondo. I casi avvengono principalmente d’inverno e sono molto più frequenti nei paesi non industrializzati. Stufe malfunzionanti, bruciatori e sistemi di riscaldamento rudimentali rappresentano un pericolo concreto e spesso sottovalutato, specialmente se i locali in cui vengono utilizzati sono costantemente chiusi. L’incredibile difficoltà nel percepire questa sostanza e la sintomatologia ambigua portano spesso ad ignorare importanti campanelli d’allarme, e le conseguenze possono essere tragiche.
Il killer
Essenzialmente il monossido di carbonio agisce in due modi. Per prima cosa questa molecola riesce a legare l’emoglobina con un’affinità circa 230 volte superiore all’ossigeno molecolare. L’emoglobina possiede 4 siti leganti, ed è sufficiente che anche uno solo sia legato a CO perché l’intera proteina perda le sue funzionalità fisiologiche. Quando ciò accade il rilascio di ossigeno a livello tissutale cala drasticamente, generando una sorta di soffocamento cellulare. In secondo luogo alte concentrazioni di monossido di carbonio ostacolano l’attività dell’enzima citocromo c-ossidasi, rallentando la produzione del gradiente protonico necessario alla sintesi di ATP a livello mitocondriale. Ma non è tutto: non esiste un antidoto. Il trattamento più comune consiste infatti nell’ossigeno iperbarico, che consente una “disintossicazione” dell’emoglobina sicuramente più rapida rispetto all’ossigeno atmosferico, ma ciò può non essere abbastanza.
Una scoperta “casuale”
Il medico Mark Galdwin e il suo team dell’Università di Pittsburgh studiano da tempo la neuroglobina, una proteina tipicamente presente nel cervello e nella retina dei mammiferi. Essa è in grado di prevenire danni cellulari legando composti dell’ossigeno e dell’azoto, ma c’è un problema. Ogni volta che i ricercatori isolano questa proteina la trovano legata a del monossido di carbonio, che è anche un prodotto di scarto del metabolismo dell’emoglobina. È una scocciatura, sono sempre necessari ulteriori passaggi per liberarsi di questa molecola indesiderata. Ma un giorno un collega chiede al dottor Galdwin se fosse a conoscenza di un possibile antidoto per l’avvelenamento da CO. La risposta era pronta, ancor prima della domanda. Il gruppo realizza così una versione migliorata della neuroglobina (Nome in codice: Ngb-H64Q-CCC) e i risultati sono incredibili: questa proteina lega il monossido di carbonio con affinità 500 maggiore rispetto all’emoglobina, riducendo drasticamente l’emivita della molecola avvelenata.

Il futuro antidoto
Quando testata su modello murino la proteina è stata in grado di salvare l’87% delle cavie, che sono stati esposti ad una dose letale di CO per 5 minuti. Dopo l’infusione nel circolo sanguigno il battito cardiaco torna ad essere regolare, la pressione si stabilizza e i livelli di monossido calano. La molecola esausta viene poi eliminata a livello renale, senza complicanze. A lasciare senza fiato (perdonate la facile battuta) è la rapidità di questo effetto benefico: l’emivita del CO legato ad emoglobina passa da 200 minuti a meno di un minuto. Forse siamo di fronte ad un nuovo trattamento salva vita. Dopo la promettente sperimentazione animale il passo cruciale è riprodurre gli stessi effetti sull’uomo: questo passaggio è particolarmente delicato e il successo è tutt’altro che assicurato.
“Dottor Galdwin, che lei sappia esiste un antidoto rapido ed efficace per l’avvelenamento da monossido di carbonio?”
“Forse”
E forse si sa, è meglio di nulla.
FONTI | Science: An antidote for carbon monoxide poisoning?
L’articolo originale: Five-coordinate H64Q neuroglobin as a ligand-trap antidote for carbon monoxide poisoning