Il sogno di una vita, quello di essere un medico e magari anche un buon medico, l’ardua selezione all’ingresso e la prospettiva di tanti anni di studio. All’inizio, la quasi utopica visione della fine, fa da filtro ad una fotografia dello studente di medicina che lo ritrae più o meno depresso e non solo.
E’ del dicembre 2016 una metanalisi pubblicata sul Journal American Medical Association da tale Dr. Lisa S. Rotenstein che svela una realtà, oserei dire, drammatica.
Chi è ancora nei banchi universitari intrepido dall’indossare quel tanto voluto camice bianco e chi, invece, ha già concluso il proprio percorso di studi universitario, saprà che i risultati emersi da questo studio non sono così lontani da ciò che giornalmente abbiamo vissuto.

La metanalisi in questione ha voluto evidenziare qual è il rischio di depressione e qual è la prevalenza di idee suicidarie all’interno della vasta “comunità” degli studenti di medicina. Una domanda semplice, ma in cui sono insiti i drammatici presagi che hanno condotto il team di ricercatori a sviluppare lo studio. Nel corso degli anni, infatti, una serie di ricerche hanno suggerito che vi potesse essere una differenza statisticamente significativa fra la prevalenza della depressione nel corso di laurea in medicina e chirurgia e quella della popolazione generale.
Fin ad ora non vi era una relazione statisticamente robusta. Ora vi sono i risultati.
Lo studio
La metanalisi ha riunito un numero pari a 195 studi ove, nel totale, sono stati esaminati 129.123 soggetti iscritti alla facoltà di medicina. Gli studi, singolarmente, hanno considerato studenti provenienti da ben 47 Paesi di tutto il mondo. Di questi, 167 erano studi trasversali mentre 16 studi longitudinali. Sebbene la diversità degli studi in toto abbia costituito nel complesso un ottimo problema da districare, il dato finale è stato estrapolato dai ricercatori anche tenendo conto dell’”apporto” statistico che ogni studio ha addotto.
I risultati sono stati sorprendenti. Si è evinto che complessivamente la prevalenza della depressione fra gli studenti di medicina è di circa il 27,2%, mentre la prevalenza di idee suicidarie si attesta attorno all’11%. E’ significativo, ed al contempo spaventoso, che solo il 15.7% dei soggetti abbia riconosciuto in precedenza il problema iniziando un training psicologico.
Dei 195 studi presi in considerazione, ben 185 hanno mostrato in media una prevalenza della depressione attorno al 27.2%. Si è cercato inoltre di capire se vi fosse una maggiore presenza di tale patologia in Paesi diversi. Dalla comparazione fra i diversi risultati si è dedotto che gli studi condotti negli Stati Uniti non hanno riportato dati statisticamente differenti da quelli svolti in altri Paesi. Non vi sono state differenze statisticamente significative nemmeno fra studenti del primo triennio (intendendo nello specifico studenti di materie pre-cliniche) e quelli del secondo triennio.
C’è differenza fra studenti di medicina e studenti di altre facoltà?
La prevalenza della depressione studiata fra gli studenti di medicina risulta essere statisticamente più alta rispetto a quella della popolazione generale. Ma non solo. Parrebbe che, analizzando i dati provenienti da studenti di altre facoltà, si riveli una differenza statisticamente significativa circa la prevalenza della depressione. Essa risulta, ancora una volta, più alta fra gli studenti di medicina. Gli studenti di altre facoltà, infatti, hanno una prevalenza di depressione stimata in un range fra il 13.8-21%.
I dati circa quest’ultima affermazione non sembrano essere così solidi. Studi condotti fra studenti di Giurisprudenza sembrano apportare un’alta prevalenza di depressione, suggerendo che vi possano essere fattori causali comuni.
Qual è la causa?
Ci si pone il problema di quale sia la causa scatenante che sottende tali evidenze.
La metanalisi in questione solleva dei dubbi sulla veridicità dei risultati estrapolati. La vasta eterogeneità degli studi, infatti, è un fattore limitante e non ci pone in condizioni di accettare senza riserva alcuna tali evidenze.
Nonostante una razionale incertezza, però, non possiamo esimerci dal soffermarci a riflettere.
La cultura medica è, per campanilismo, ciò che di più affascinante e misterioso l’uomo possa ambire a conoscere. Apprenderla, però, richiede uno sforzo notevole. Gli anni di studio sono intensi, coercitivi ed a tratti pongono lo studente dinanzi ad ostacoli insormontabili.
Il successo del percorso di studio è affidato ad un ragazzo che, annebbiato dallo spassionato sogno del fonendoscopio al collo, incassa in pieno volto un diretto da un Muhammad Ali travestito da Mr. Netter. Le ripetute privazioni, gli anni di studio che sembrano non passare ed il veder i propri amici laureati non una, ma ben due volte, innalza il livello di frustrazione.
Sono sei anni, per i più bravi e fortunati, in cui bisogna stringere i denti fino a consumarli. E qualcuno, come JAMA ci dice, non ce la fa a non cadere nel baratro della depressione.
Cosa fare dunque? Come autore di questo articolo non proporrò grandi riforme del mondo della medical-education, ma mi permetterò di dare un unico grande consiglio. E’ necessario moderare, innanzitutto, l’insensato sentimento di astio e competizione che affligge, per antonomasia, gli studenti di medicina. Trovo importante poter utilizzare le parole di un grande autore per rafforzare ancor di più il concetto sperando che il cambiamento inizi, in primis, da noi.
“Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l’un l’altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita”
“Dialogo di Plotino e di Porfirio”, Leopardi
Fonti| 1) Medical Student Mental Health, Culture, Environment, and the Need for Change. Stuart J. Slavin, MD, MEd 2) Prevalence of Depression, Depressive Symptoms, and Suicidal Ideation Among Medical Students. A Systematic Review and Meta-Analysis. Lisa S. Rotenstein, BA; Marco A. Ramos, MPhil; Matthew Torre, MD; J. Bradley Segal, BA, BS; Michael J. Peluso, MD, MPhil; Constance Guille, MD, MS; Srijan Sen, MD, PhD; Douglas A. Mata, MD, MPH