Cervello: un videogame potrebbe spiegarci come funziona

Lo studio del sistema nervoso deve confrontarsi con la complessità degli animali superiori, ma comprendere il funzionamento di un processore costruito dall’uomo dovrebbe risultare molto più semplice. Almeno in teoria.

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  1. Le neuroscienze stanno progredendo a ritmi rapidi, nuove metodologie hanno recentemente ampliato enormemente la quantità di dati sperimentali che è possibile ottenere. L’architettura di diversi encefali animali è oggetto di studio; il livello di dettaglio con cui è possibile osservare l’attività neurale è impressionante.
    Tuttavia è spesso impossibile verificare la validità e l’importanza di questi esperimenti: attualmente non si conosce nel dettaglio nemmeno il funzionamento di un cervello semplice come quello di una mosca. Come capire se siamo sulla buona strada?
Donkey Kong, uno dei tre videogame caricati nel processore e utilizzati per testarne le funzionalità.

In un recente studio E. Jonas e K. Kording propongono un’interessante alternativa: tentare di applicare queste tecniche esplorative ad un oggetto che conosciamo nel dettaglio, nello specifico un microprocessore utilizzato dall’Atari Video Game System (MOS 6502/6507). L’obiettivo dello studio è comprendere se le teorie ad ora utilizzate sono sufficienti a descrivere il comportamento di un sistema relativamente semplice.

 

Il cervello è un super-computer

Non è troppo complesso individuare delle forti analogie tra un calcolatore ed un sistema nervoso. Innanzitutto entrambi i sistemi si interfacciano con l’ambiente: un input viene ricevuto, processato e determina una risposta esterna o interna al sistema stesso. Così come il nostro encefalo, determinate regioni sono deputate a funzioni ben specifiche, anche se la controparte in silico non esibisce altrettanta plasticità. La struttura delle connessioni è gerarchica e risulta cruciale in entrambi i contesti, diventando espressione delle funzionalità stesse. Il segnale è in entrambi i casi un impulso elettrico, sostanzialmente binario. Per completare il quadro sia un processore che un cervello sono composti da unità discrete e stereotipate, in grado di svolgere calcoli elementari e comunicare con moltissime altre unità.

Organizzazione gerarchica a) un processore, b) una rete neurale. Si noti come è molto più difficile individuare aree discrete nel secondo caso. (From: Could a Neuroscientist Understand a
Microprocessor?, Eric Jonas1, Konrad Paul Kording)

…O forse no

Transistor e neurone a confronto                                                                                            (from: http://mcgovern.mit.edu/ , Bizzi lab, Image: Robert Ajemian)

Ma la complessità di un cervello mammifero supera di gran lunga quella di un processore e le differenze sono numerose e degne di nota. I neuroni esibiscono infatti un comportamento che in alcuni casi può essere considerato stocastico: dato un segnale specifico, la risposta non è necessariamente determinata con certezza. Ciò rende la rete neurale per certi versi imprevedibile. Il numero di connessioni di un neurone è ordini di grandezza superiore a quello di un transistor ed esse sono in grado di riorganizzarsi nel corso della vita. Inoltre la sinapsi rappresenta una struttura unica nel suo genere, in cui il segnale viene propagato da piccole molecole anziché impulsi elettrici. Infine, la distinzione tra hardware e software è essenzialmente inesistente: è possibile caricare qualsiasi programma in un computer, mentre il nostro sistema nervoso contiene già fisiologicamente tutte le informazioni necessarie per gestire il sistema. Struttura e funzione sono quindi indissolubilmente legati, come accade di norma nei sistemi biologici.

 

L’esperimento

Basandosi sulle analogie descritte, i ricercatori hanno applicato al processore una serie di metodologie popolari nel campo delle neuroscienze. L’obiettivo è capire se l’evidenza sperimentale proveniente dagli strumenti attuali riesce a spiegare il funzionamento del dispositivo in maniera soddisfacente.

Eseguendo diversi videogames è possibile osservare il comportamento del chip ed estrarre le informazioni salienti. Sono stati ad esempio impiegati algoritmi per rivelare l’architettura del sistema -connettoma nel caso del cervello- e chiarire così le funzioni svolte da aree diverse. Ma secondo i ricercatori il risultato “ancora non si avvicina minimamente al capire come un processore funziona veramente”. In seguito sono stati lesionati alcuni transistor e registrato il comportamento nell’esecuzione dei diversi programmi. In alcuni casi ciò ha impedito il funzionamento del videogioco, ma non è stato possibile stabilire la ragione esatta. Altri esperimenti hanno poi fornito risultati interessanti e qualitativamente simili alla controparte biologica, fornendo però solo imprecise indicazioni sul sistema studiato. Nel complesso la descrizione ottenuta sembra approssimativa ed inadeguata, pur avendo utilizzato una fonte inesauribile di dati sperimentali.

Pur non bocciando in toto gli approcci impiegati, gli autori sostengono che l’ostacolo da affrontare in questo momento non riguardi la quantità di informazione, ma al contrario lo sviluppo di nuove teorie e metodi di analisi. Ciò apre allo sviluppo di nuovi modelli, proponendo come punto di riferimento esperimenti simili a questo, in cui eiste una “ground truth” (possiamo sapere ‘se’ e ‘quanto’ stiamo sbagliando). L’articolo in questione ha ricevuto moltissima attenzione e non mancano le critiche. Alcuni neuroscienziati sostengono infatti che i due sistemi non siano assolutamente comparabili, mettendo in dicussione l’utilizzo di un processore come modello semplificato di cervello.

Il terreno al confine tra lo studio del sistema nervoso e la scienza dell’informazione sembra ancora molto fertile: Algoritmi pesantemente ispirati al funzionamento dei neuroni (Neural Networks) sono alla base di motori di ricerca come Google e consentono ai computer di riconoscere immagini, suoni e persino di leggere la scrittura umana. Questi sistemi,approssimazioni di teorie potenzialmente valide biologicamente, funzionano bene sul pc ma non sono completamente provati.
Il completamento dell’argomento è ancora una chimera che lascia aperti nuovi possibili scenari con applicazioni e sviluppi straordinari.

Fonti | MIT Technology reviewArticolo originale

Gian Marco Franceschini
Studio Quantitative and Computational Biology presso l'università di Trento. Credo in un approccio multidisciplinare e aperto alla ricerca scientifica, che ci consenta di superare assieme i problemi dell'oggi e del domani. Nel tempo libero combatto la noia in mille modi diversi, e vinco quasi sempre io.