“Internet è così grande, così potente e così inutile che per alcuni è un completo sostituto della vita”
Una delle frasi preferite dalla generazione che ci precede è “passi troppo tempo al pc”. Questa asserzione spiega bene un primo concetto fondamentale: non è importante cosa si stia facendo, ma conta il tempo che si passa davanti ad uno schermo. Poco importa che ormai ogni aspetto della vita sia su internet e che, salvo sacrifici estremi ed immotivati, non si possa più vivere senza.
La IAD
È nata quindi una nuova malattia, per la gioia dei molti datati fan dell’analogico, la “dipendenza da internet” o IAD. Con l’intento di elencare piuttosto che di comprendere, il DSM V ha enumerato le varie caratteristiche di questa nascente epidemia:
- L’uso eccessivo
- Il ritiro sociale
- La tolleranza all’interfaccia
- Le ripercussioni negative sui restanti aspetti della vita.
Naturalmente non mancano le comorbidità, come il disturbo d’ansia, il disturbo ossessivo compulsivo, la depressione, l’alienazione e molti altri.
La prevalenza è difficilissima da stimare, variando per fasce d’età, sesso e contesto abitativo. Sembra comunque che ne sia affetta tra lo 0,3% e il 38% della popolazione, una forbice piuttosto ampia di incertezza. La diagnosi viene effettuata tramite questionari e scale, nella positivista ipotesi che l’accumulo di dati possa fornire una risposta chiara ed esaustiva.
Caso di Overdiagnosi?
L’overdiagnosi, o sovradiagnosi, è un concetto fondamentale che sta, in parte, incrinando la corsa tecnologica e laboratoristica nel campo medico. Si definisce overdiagnosi la diagnosi di una supposta malattia che però non darà mai sintomi o morte. L’accuratezza nei mezzi e lo screening intensivo sono i principali responsabili del fenomeno. In più gli interessi economici del settore sanitario spingono a trovare malattie da trattare anche quando la loro esistenza è dubbia.
I soggetti dipendenti da internet esistono, ci sono casi lampanti. Il DSM V nei suoi molteplici elenchi ne descrive vari fenotipi, dal gamer al porno-addicted, e ne enumera i vari gradi. Sono state descritte molte vie neuroendocrine che coinvolgono la dopamina, l’amigdala, lo striato e che spiegano bene il substrato bioanatomico del fenomeno. Ma se la disregolazione fosse l’effetto e non la causa?
Diverse domande sull’eziopatogenesi del fenomeno vengono glissate in virtù di una multifattorialità che troppo spesso è ridotta alle varianti genotipiche di suscettibilità e alla disfunzione neurorecettoriale.
Malattia o sintomo?
È quindi internet il problema o esiste un problema che viene somatizzato davanti ad uno schermo? Se non ci fosse il web, gli internet-addicted sarebbero sani? O avrebbero altre dipendenze, anche più gravi? Si può realmente affermare che è la presenza di internet a creare la dipendenza oppure è un individuo con problemi di dipendenza inserito in questo contesto ad avere problemi con internet?
Non ci sono risposte facili a queste domande, ma forse se ne discute troppo poco, spostando il focus sulla via neurologica da bloccare, sul neuromediatore responsabile, sugli sterili score e sulle molecole in grado di contenere un sintomo che potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. La IAD potrebbe essere un paradigma di questa tendenza a “patologizzare” comportamenti che esprimono disagio spesso figlio di una crisi sociale e umana.
FONTI | PubMed, Psychiatryonline