Prevenire il suicidio con un oppioide

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La Buprenorfina, un analgesico oppiaceo, si è rivelato efficace nel ridurre le idee suicidarie in pazienti a rischio, con un effetto tanto rapido quanto significativo.

Il razionale dello studio

Per comprendere il perché un farmaco normalmente utilizzato nella gestione del dolore possa ottenere un risultato simile bisogna tornare momentaneamente al passato, al 1993, anno in cui è stato coniato il termine “psychache”, per poi fare un salto avanti, nel 2014, agli studi di Naomi Eisemberg, ricercatrice della UCLA.

Lo psychache e la suicidologia

Secondo Schneidman, uno dei fondatori dell’attuale suicidologia, la branca che si occupa dello studio del suicidio e della sua prevenzione, l’obiettivo ultimo del suicidio è quello di porre fine a un dolore mentale insopportabile, uno psychcache come da lui definito nello studio “Suicide and psychache” del 1993.

Lo psychache è il risultato della negazione e frustrazione dei bisogni vitali dell’individuo, quei bisogni che sono ritenuti irrinunciabili dalla persona, pena il proprio annientamento. Se da una parte tale frustrazione può essere legata a situazioni ambientali e sociali estremamente sfavorevoli, dall’altra può affiancare condizioni patologiche di natura sia psichiatrica, quali la depressione, che organica, come gravi patologie menomanti.

Così come il dolore fisico cronico porta l’individuo a ricorrere a tutti gli strumenti a sua disposizione per alleviarlo, con il rischio di incorrere in un abuso di farmaci, anche lo psychache porta ai più disparati tentativi di sollievo; e mano a mano che i tentativi falliscono, si ha un progressivo restringimento delle opzioni disponibili, fino ad arrivare a un pensiero dicotomico nel quale il suicidio si propone come unico estremo rimedio.

Dunque, quando si tratta di idee suicidarie, l’attenzione sarebbe da porre non tanto sulle possibili condizioni sottostanti, quanto piuttosto sul dolore mentale.

La fisiologia del dolore mentale

La teoria di Schneider ha assunto particolare rilievo clinico circa un ventennio più tardi, grazie agli studi fMRI della Dottoressa Eisemberg, grazie ai quali si è visto che i circuiti attivati dal dolore mentale non sono così diversi da quelli del dolore fisico, la sovrapposizione è anzi significativa.

Nel suo studio, Eisemberg e il suo team dimostrano che alla base della sensazione spiacevole correlata al dolore vi sarebbe l’attivazione del giro cingolato anteriore, nello specifico della sua porzione dorsale (dACC), e che tanto maggiore è lo stimolo doloroso tanto più l’area si attiva e il paziente percepisce la sensazione come insopportabile. L’aspetto interessante è che ciò accade sia per stimoli fisici che per stress psichici, due variabili distinte che sono dunque interconnesse attraverso questo circuito condiviso.

Si è quindi intravista la possibilità di sfruttare un farmaco normalmente usato nella terapia del dolore per modificare questo sistema comune e, riducendone l’attività, ridurre la percezione del dolore mentale.

Lo studio

Il team del Dottor Yovell, dell’Università di Haifa, ha reclutato un totale di 62 pazienti con un punteggio alla Beck Scale for Suicidal Ideation maggiore o uguale a 11 e che, per almeno una settimana, hanno sperimentato un desiderio clinicamente rilevante di ricorrere al suicidio.

I pazienti sono stati quindi divisi in un gruppo placebo di controllo (n=22) e un gruppo trattato con bassissime dosi di Buprenorfina (n=40).

Durante il follow-up i pazienti sono stati sottoposti nuovamente alla stessa scala di valutazione a distanza di 2 e 4 settimane dall’inizio della terapia e nel gruppo trattato si sono registrati punteggi mediamente inferiori di 4 e 7 punti rispettivamente, risultato sorprendentemente non influenzato dall’eventuale co-assunzione di un antidepressivo.

Vantaggi della Buprenorfina

Il fatto dunque che non vi siano differenze tra i pazienti sotto trattamento antidepressivo e quelli non trattati fa presupporre che la Buprenorfina possa essere impiegata come supporto in quei pazienti che, pur utilizzando farmaci antidepressivi, non riescono a liberarsi delle proprie idee suicidarie.

Inoltre, alle formulazioni e ai dosaggi impiegati nello studio, è remota la possibilità di sviluppare dipendenza, un grande problema relativo a questo genere di farmaci. Lo stesso meccanismo d’azione della Buprenorfina lo rende un farmaco sicuro, infatti se a basse dosi è un agonista dei recettori m degli oppiacei, ad alte dosi svolge un’azione di antagonismo, riducendo notevolmente il rischio di overdose.

Infine l’azione della Buprenorfina è più rapida di quella degli antidepressivi, per i quali bisogna aspettare alcune settimane affinché siano pienamente efficaci, di conseguenza rappresenterebbe un ottimo alleato terapeutico nell’acuzie, vantaggio non da poco considerando che ad oggi non vi sarebbero farmaci con tale effetto.

FONTI | Studio BuprenorfinaStudio fMRISuicide as psychache

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Redazione | Nato il 30/01/1993. Frequento l’Università di Modena e Reggio Emilia, Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia. Il mio campo di interesse sono le neuroscienze. “Better is possible. It does not take genius. It takes intelligence. It takes moral clarity. It takes ingenuity. And above all, it takes a willingness to try" - Atul Gawande.