La perdita di udito è il disturbo sensoriale più diffuso al mondo. Le cause sono spesso ambientali o dovute alla storia medica del paziente, ma è importante notare che circa la metà dei casi riscontrati in età preverbale è dovuta a disordini genetici. Più di 100 geni sono stati individuati come possibili responsabili della sordità congenita, e le terapie ad ora disponibili si limitano ad apparecchiature che forniscono ausilio uditivo a diversi livelli di profondità. Questi rimedi, pur essendo altamente sviluppati, presentano ancora forti limiti: distorsione del suono, rumori ambientali e sensibilità a diverse frequenze rimangono aspetti problematici.
Il trasferimento genico nella coclea potrebbe arricchire lo spettro di trattamenti a disposizione per combattere la sordità, sia dovuta a cause genetiche che ambientali. Per riuscire ad ottenere tale risultato serve una maniera efficacie con cui veicolare il gene di interesse alle cellule del tessuto, e i ricercatori della Harvard Medical School sembrano aver trovato lo strumento perfetto. Parallelamente uno studio del Boston children hopital attesta la funzionalità del medesimo trattamento in un modello animale.
Terapia genica: in breve
Moltissime patologie sono riconducibili ad un disordine a livello genico. Nell’immediato, pensiamo a tutte le malattie genetiche monogeniche: in moltissimi casi è chiaro come una singola mutazione sia responsabile di una determinata sintomatologia. Ma questa idea può essere estesa ben oltre. HIV non è proprio una modifica a livello genico di una popolazione linfocitaria? E le cellule neoplastiche, non sono proprio delle sottopopolazioni mutate rispetto ai tessuti sani? Il panorama si allarga: possiamo connettere un’enorme numero di patologie a difetti nel DNA. La terapia genica si propone di agire su acidi nucleici e servirsi delle loro proprietà a scopo terapeutico.

Proviamo a fare un esempio. Nei pazienti affetti da fibrosi cistica entrambe le copie del gene CFTR non sono funzionali. La mancanza di questo canale ionico porta alla caratteristica sintomatologia, ma cosa accadrebbe se reintroducessimo una copia funzionale di esso nelle cellule polmonari?
Molto probabilmente le condizioni del paziente migliorerebbero, e studi preliminari confermano questa ipotesi. Dietro questa logica decisamente lineare si nascondono numerosi ostacoli. Come inserire il gene di interesse nelle cellule? Come raggiungere efficacemente il tessuto? Come assicurarsi di non creare mutazioni deleterie, o scatenare una risposta immunitaria letale? La terapia genica è un approccio dalle potenzialità vastissime, ma ancora bloccato da enormi limitazioni.
Lo studio
I ricercatori sotto la guida della dottoressa Stankovic hanno superato con successo più di una problematica. Nello studio pubblicato in Nature Biotechnology, è stato evidenziato come una versione ingegnerizzata di virus adeno-associato sia in grado di infettare efficacemente le cellule della coclea, sia in vitro che in vivo. Un virus per curare?
Facciamo un passo indietro. È necessario inserire un gene funzionante all’interno di una cellula: milioni di anni di evoluzione rendono i virus uno degli strumenti più adatti. Un vettore virale è infatti un virione che possiede le componenti proteiche necessarie all’infezione, tuttavia al suo interno non possiede acidi nucleici in grado di creare nuove copie di se stesso. I geni necessari alla duplicazione del virus sono infatti sostituiti dal così detto Gene Of Interest, che verrà inserito nelle cellule infettate. I migliori candidati a svolgere questo ruolo sono attualmente lentivirus, adenovirus, e virus adeno-associati (AAV), anche se non mancano molte altre possibilità. Gli ultimi si distinguono per causare una risposta immunologica debolissima, risultando particolarmente sicuri.

Il nuovo vettore adeno-associato (Anc80L65) è stato sviluppato analizzando la linea evolutiva del patogeno, e ottenendo così degli intermedi funzionali in grado di inserire il proprio genoma all’interno di diversi tessuti. L’efficacia dell’approccio è dimostrata mediante l’inserimento di un “gene di prova” (GFP: Green Fluorescent Protein) che consente di quantificare tramite microscopia il successo delle infezioni.
Ma non è tutto: tale trattamento non risulta particolarmente dannoso per il tessuto. Un secondo studio, condotto al Boston Children Hospital, utilizza il medesimo vettore virale per ripristinare l’udito in un modello murino della sindrome di Usher. Questa malattia genetica causa cecità, sordità e disturbi dell’equilibrio. Somministrando il trattamento è stato possibile inserire una copia funzionale del gene Harmonin-b1, che ha ripristinato l’udito e sensibilità vestibolare. Il trattamento dev’essere somministrato quando l’animale è ancora molto giovane, tramite un’iniezione attraverso la finestra rotonda.

Prospettive
Come sempre è d’obbligo un cauto ottimismo: occorrono degli anni perché tale approccio venga testato nell’uomo. La prima preoccupazione è la sicurezza, secondo il famoso principio primum non nocere. È infatti necessario indagare la specificità dell’infezione e assicurarsi che il trattamento non possa danneggiare in alcun modo i pazienti. Poco meno di 20 anni fa i primi tentativi di terapia genica umana hanno mostrato incredibili risultati, ma anche conseguenze disastrose. Nel frattempo la ricerca ha fatto passi da gigante: Strimvelis è il primo trattamento esistente per l’ADA-SCID e si basa proprio sull’utilizzo di un vettore virale. L’era della terapia genica potrebbe essere sempre più vicina.
Fonti | Gene therapy restores auditory and vestibular function in a mouse model of Usher syndrome; A synthetic AAV vector enables safe and efficient gene transfer to the mammalian inner ear; In Silico Reconstruction of the Viral Evolutionary Lineage Yields a Potent Gene Therapy Vector