E’ durata quasi quattro ore, e siamo solo agli inizi. Dopo un anno in commissione Affari Sociali, il testo del decreto legge sul testamento biologico approda alla camera. E la lunghezza della discussione generale lascia ben sperare: c’è dibattito in parlamento, finalmente.
Il testo della legge che ora naviga in aula è il risultato dell’unione di 16 proposte di legge differenti, ognuna dal colore politico diverso, fuse con un’abile ed estenuante lavoro di mediazione in Commissione Affari Sociali. Il risultato, per essere chiari, sono le 4 pagine fra le più discusse e discutibili della legislazione italiana. Il tema non attraversava schermi e prime pagine nazionali da troppo tempo, ed ora, a due settimane dalla morte in Svizzera di Dj Fabo, e a quasi vent’anni dagli ultimi pugni battuti sul tavolo dall’opinione pubblica per Eluana, il dialogo sul fine-vita riemerge.
Il testo
Titolato “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, il provvedimento nasce grazie all’asse M5S-PD-SI, alleanza mai ostentata ma abbondantemente calunniata, e raccoglie anche esigenze a firma del gruppo popolare (NCD e FI su tutti). Mentre la Lega, marmorea, dal canto suo si proclama contraria anche a questa formulazione della legge. Relativamente sospeso invece il giudizio della CEI: la conferenza episcopale italiana si dichiara “preoccupata” ma da par suo non boccia il testo- ed il fronte cattolico in parlamento sembra disponibile al dialogo.
E oltre gli scranni, alle spalle dei rappresentanti, c’è un’opinione pubblica pronta ad agitarsi: siamo noi, mandanti e utenti della legge allo stesso tempo.
Questa legge, nelle intenzioni degli autori, è pensata come un canovaccio, una traccia che lasciando degli appositi vuoti, permetta al medico ed al paziente di muoversi con agio nelle decisioni, fornendo input ma non regole specifiche, e dando fiducia alla relazione fra i due. E’ una legge, uno strumento universale, slegato dai singoli casi, che spesso patiscono contorni inafferrabili.
Ma è anche bioetica, di questo si parla. L’autodeterminazione della persona in un contesto terapeutico, dove è impossibilitata a scegliere, e l’agire del medico, che necessità di decidere, come si confrontano? E dove?
Eppure il dibattito sul testamento biologico ed il consenso informato non è il tiro alla fune chierichetti contro oltreuomini, non si gioca a chi trascina più lontano e a suo favore il testo della legge. Bisogna fare ciò che c’è di più difficile. Bisogna mediare i valori, rovesciare le gerarchie, stenderle, guardarsi dal basso delle proprie idee e non dall’alto dei propri pregiudizi. E stavolta, qualche presupposto c’è.
Articoli e posizioni
L’articolo 1 del ddl indica in maniera esplicita i riferimenti di principio dell’architettura delle legge: la Costituzione e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, come a sottolineare subito l’impianto focalizzato -almeno nelle intenzioni- sulla persona, e non sulla situazione. Chiave della relazione medico-paziente è il consenso informato: questo non è un mero atto burocratico, lo ricordiamo, ma un vero e proprio diritto della persona, esigibile e imprescindibile. È il ponte fra la decisione del paziente e la legittimità dell’atto sanitario. Se recentemente si è avviato un dibattito interno sulla responsabilità professionale in ambito sanitario, qui il baricentro invece vuole essere il paziente e la sua presa in carico da parte del medico.
Incastonati fra i vari comma, sono condensati temi che basterebbero da soli a occupare riviste specializzate per anni.
Il diritto di sapere e non sapere: quello all’informazione, per esempio. Ne è intriso il comma 3, per cui ognuno è garantito nella propria necessita di sapere, con la legge che si pone a protezione dell’individuo. Ma viene anche protetto il proprio diritto a non-sapere, è una difesa della propria libertà ad estraniarsi dalla conoscenza, delegando così un’altra persona per ricevere le informazioni al proprio posto.
Il consenso è documento ufficiale senza però una forma standard, è dinamico, si parla perfino di videoregistrazioni, e la persona a cui è garantito è maggiorenne, capace di intendere e di volere. Il paziente può in qualsiasi momento richiedere la revoca delle decisioni prese precedentemente, senza alcun vincolo.
I vincoli
Ma parlando di vincoli, e qui sono i nodi che il pettine dell’assemblea vuole sciogliere, il paziente può decidere -ed in tal modo vincolare strettamente il medico- di rifiutare trattamenti terapeutici, comprendendo pure nutrizione artificiale e l’idratazione. Qualcuno vede questo come un piano inclinato: rotolando silenziosamente, si arriverebbe a legiferare in favore di una forma di eutanasia omissiva. Ma viene ricordato che secondo la SINPE, massima esperta in materia, nutrizione artificiale e idratazioni sono due trattamenti terapeutici, con indicazioni e controindicazioni. E che per questo motivo ne si misura l’efficacia, cioè la loro capacità di ripianare un fitto meccanismo fisiologico, quella della nutrizione, divenuto alterato o deficitario.
Il paziente che richiede l’interruzione delle terapie per la guarigione, non è destinato all’abbandono, ma solo a ritrovarsi nel dominio della sola cura, abbandonando gli obiettivi della guarigione. Certo, non si può in alcun modo obbligare il medico a somministrare o non somministrare qualcosa che violi la sua deontologia o la legge. E tutto ciò, e qui forse c’è un retaggio degli effetti della legge 194, è imperativo e valido in ogni struttura ospedaliera, sia questa pubblica o privata.
Il minorenne è caso a sé: qui è fondamentale la presenza del giudice tutelare, a cui si rimette l’indagine e la decisione sui casi singoli, figura che si pone esterna e sopraelevata rispetto al piano medico/paziente. Anche questo è reso opinabile da alcune voci in disaccordo: il minorenne ha o meno la capacità di auto-determinarsi, decidere per sé, a riguardo?
Le DAT
Il mezzo con cui il cittadino maggiorenne capace di intendere e di volere fa risuonare la propria scelta nell’incertezza di un futuro in cui sia incapace di auto determinarsi sono le Disposizioni Anticipate di Trattamento- articolo 2. E qui, oltre ad alcune tecnicità, è importante il passaggio che descrive la possibilità di rompere il vincolo di una DAT, nel caso vi siano terapie nuove ed efficaci che all’epoca della propria espressione non si conoscevano.
Qualcuno sarà trasalito leggendo “disposizioni” al posto di “dichiarazioni”, svolgendo l’acronimo DAT: c’è poco da commentare, qui la spaccatura è netta, le concezioni distanti. Si dispone, non c’è troppo spazio per l’interpretazione da parte dei medici.
In somme, questa la legge e questi gli snodi cocenti. Ad oggi, nonostante l’iter di discussione già azzoppato allo start da 700 emendamenti, che si spera di potare abbondantemente, cresce l’attesa di faglie nell’opinione pubblica ventura, di movimenti e attivismi.
S’avvicina, dopo troppo tempo e troppi silenzi, la possibilità di scattare in piedi e parlare per sé.
FONTI| IL TESTO; la discussione alla Camera