Come riporta The Lancet Public Health, in Inghilterra la gestione terapeutica corre via cavo. Si parla della eSexual Health Clinic: iniziativa tutta bretone, si tratta di un programma che segue passo a passo i pazienti-utenti per curare la infezione da clamidia. È tutto completamente sul Web, dalla diagnosi alla terapia. È il futuro?
La Clamidia
Quella da Chlamydia Trachomatis è l’infezione batterica sessualmente trasmissibile più comune in UK: 220 000 casi all’anno e generalmente colpisce giovani tra i 16 e i 24 anni. Se sottovalutata o non trattata può portare a esiti molto gravi per l’apparato riproduttivo, specie in quello femminile: dal 10 al 40% delle infezioni non trattate di donne evolvono nella malattia infiammatoria pelvica, che può causare sterilità.
La clamidia si trasmette sessualmente con ogni tipo di rapporto (vaginale, anale, orale che sia), ma anche durante il parto. Nel neonato si manifesta con infiammazione agli occhi e all’apparato respiratorio: la clamidia è infatti la prima causa di congiuntivite e polmonite nei neonati.
L’Idea
Con una popolazione di pazienti così digitalizzata e delle tecnologie ben assestate, peraltro banali come il text-messaging dei risultati dei vari test, è risultata incoraggiante l’idea di un programma capace di gestire, guidare, curare e guarire in maniera automatica i giovani pazienti.
Primo nel suo genere, tant’è che gli autori sottolineano l’importanza di fornire l’adeguato supporto legislativo e amministrativo per la protezione dei dati e l’adeguamento agli standard di gestione della malattia, la struttura del percorso (eClinical Care Pathway Framework) si basa sul sistema eSHC.
L’eSHC system è un’applicazione web con differenti portali e accessi per pazienti, amministratori dei risultati e ricercatori.
La cura viene impostata automaticamente da remoto, senza necessità di farsi visitare in clinica, a meno che il paziente non presenti sintomi non gestibili via app: in tal caso il paziente è indirizzato direttamente ai servizi sanitari tradizionali.
Chiaramente, in qualsiasi momento il percorso di cura digitalizzato permette e prevede la possibilità di ricorrere alla prestazione tradizionale in clinica; ogni passaggio richiede il consenso del paziente-utente e del partner dell’ammalato, a sua volta avvisato e seguito.
Una volta eseguiti i test preliminari per valutare la presenza di infezione, i pazienti vengono a conoscenza del risultato con un messaggio: se il test è positivo, è allegato ai risultati anche la password per accedere all’app. Se è negativo, in linea con le finalità di promozione della salute pubblica, il messaggio contiene link a risorse informative e di prevenzione sulla clamidia.
Seguono poi gli step tradizionali di cura, ma digitalizzati: la consultazione clinica è automatizzata e online, come lo è la scelta della farmacia più prossima per richiedere l’antibiotico, richiesta eseguita dal sistema stesso. Ritirato il farmaco, il farmacista conferma l’avvenuta fornitura. Dopo due settimane è previsto un follow-up telefonico.

I Risultati
Tra il 21 Luglio 2014 e il 13 Marzo 2015, 2340 persone hanno utilizzato eSHC.
Della popolazione in esame, 343 persone son risultate infette: di queste, 295 hanno visualizzato i risultati online e 221 hanno accettato di prendere parte allo studio. Quindi, 205 pazienti son stati trattati, il 65% dei quali seguiti esclusivamente via app.
Dei 1997 sono risultati negativi al test, l’89% ha guardato gli esiti online e il 25% di questi ha preso visione delle risorse proposte per la promozione della salute.
Tirando le Somme
Il progetto è da rifinire, sia in termini operativi che per quanto riguarda le stime sui costi. Gli autori precisano di aver definito un design utile a progettare strumenti simili in futuro: oltre che all’iter diagnostico terapeutico, eSHC system si è rivelato molto utile nella raccolta dati, nella sorveglianza come pure nelle vesti di motore e promotore di prevenzione.
Nonostante i suoi limiti, per esempio la necessità della disponibilità di un accesso a internet, è un sistema indubbiamente innovativo. È un modello che farà storia?
FONTI| articolo The Lancet