L’ultima frontiera della bioingegneria parla chiaro: nel giro di pochi anni sarà possibile sostituire il miocardio difettato, a causa di patologie ischemiche e non, con uno adeguatamente coltivato in laboratorio su foglie di spinacio.
Animale o vegetale?
La strabiliante scoperta è stata condotta da un team di ricercatori guidato da Joshua R. Gershlak dell’Istituto Politecnico di Worcester e si propone di creare tessuto miocardico eccitabile e funzionante a partire da cellule staminali umane stimolate con fattori di crescita.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Biomaterials, potrebbe essere un importante punto di partenza per la creazione in vitro di tessuti biologicamente attivi in grado di sostituire quelli non più efficienti del nostro organismo.
Il primo passo è stato quello di analizzare diversi tipi di foglie per poterne valutare sia la possibilità di decellularizzazione (importante passaggio per rimuovere, dall’architettura delle foglie, le cellule vegetali e lasciare intatta l’impalcatura di cellulosa) sia la possibilità di utilizzo delle vie di conduzione della linfa (che fungeranno da sistema di conduzione di nutrienti e fattori di crescita per le cellule staminali).
Un cuore “bio”
La foglia che si è presentata più adatta sia per la resistenza del suo scheletro di cellulosa a seguito dei processi chimici a cui è stata sottoposta, sia per dimensione e struttura del sistema di trasporto, è stata quella di spinacio. Sono state decellularizzate con ottimi risultati anche foglie di prezzemolo, arachide e artemisia.
Il diametro medio dei capillari umani è di 5-8 micron per il passaggio di globuli rossi di 6-8 micron: la valutazione dell’efficienza del sistema di trasporto è stata effettuata grazie all’incanulamento delle foglie e nell’introduzione di microsfere fluorescenti di diversa dimensione nella “circolazione”.
A seguito della verifica delle corrette dimensioni dei “capillari vegetali” è stato introdotta della fibronectina (per creare un migliore strato di attecchimento) prima e delle cellule staminali a differenziazione endoteliale prelevate da cordone ombelicale per promuovere una corretta endotelizzazione del sistema.
Una volta ottenuto il sistema di capillari e verificata la sua efficienza (mediante introduzione di LDL in “circolo” e registrazione della avvenuta captazione delle stessa da parte delle cellule endoteliali), cellule umani staminali pluripotenti di derivazione cardiomiocitica sono state impiantate sullo scheletro della foglia e stimolate con adeguati fattori di crescita.
I risultati: buoni ma non troppo
Dopo soli cinque giorni, le cellule miocardiche hanno mostrato una contrazione spontanea che ha subito un picco di potenza intorno al decimo giorno per poi rimanere costante fino al diciassettesimo. Al ventunesimo giorno si è registrato un decremento dell’attività contrattile testimoniato dalla diminuzione della intensità di segnale emesso dallo ione calcio (marcato con fluorescenti) utilizzato dalle cellule per la loro attività elettrico-meccanica.
Qual è la novità rispetto alle altre tecniche di sintesi tissutale in vitro o stampa 3D? Nessuna di queste finora è stata in grado di creare un apparato “simil-vascolare” in grado di irrorare con efficienza il tessuto. Ispirandosi al mondo vegetali gli studiosi sono riusciti a creare una efficiente rete microvascolare simile a quella dei mammiferi per struttura anche se differente nel meccanismo (anche il sistema linfatico delle piante presenta un sistema di “ingresso” e uno di “uscita” del tutto simile al sistema arterioso e venoso).
Non è ancora chiaro se il diverso sistema capillare possa integrarsi con efficienza nel sistema vascolare umano, ma, sicuramente, questo rappresenta una svolta significativa nell’ambito della bioingegneria tissutale.
La cellulosa che è il componente principale delle pareti cellulari delle piante è, inoltre, un polisaccaride ben studiato e un biomateriale già testato e utilizzato in un’ampia varietà di applicazioni di medicina rigenerativa come la sintesi di tessuto cartilagineo, tessuto osseo e come importante fattore per la guarigione delle ferite.
Per il momento l’unico punto a sfavore della ricerca è l’utilizzo di detergenti molto aggressivi per la fase di decellularizzazione: le sostanze che residuano potrebbero danneggiare i tessuti animali.
Questo comunque per gli studiosi non è affatto un problema: durante i prossimi studi le tecniche potranno essere perfezionate e migliorate al fine di rendere questa scoperta una vera svolta per la medicina.