Gli anni passano ma le mine restano. Grazie ad uno studio pubblicato nella rivista scientifica The Lancet, oggi finalmente conosciamo il peso sulla salute globale di quegli ordigni inesplosi o abbandonati, seminati durante i conflitti. È un problema enorme che va ben oltre le orrende ferite nel corpo; un problema che devono fronteggiare ogni giorno più di 60 paesi a medio e basso reddito.
Quali ordigni
Lo studio ha analizzato gli effetti degli ordigni e residuati esplosivi bellici (Explosive Remnants of War, ERW). Nella fattispecie si tratta di mine, cioè trappole esplosive che colpiscono veicoli o persone, di artiglieria esplosiva non esplosa e di artiglieria esplosiva abbandonata con la fine del conflitto.
La ratifica del Trattato di Ottawa nel 1997, che si prefiggeva di eliminare la produzione e l’utilizzo di mine antiuomo in tutti gli Stati del mondo, ha portato una forte ventata di cambiamento sullo scenario dei conflitti bellici: le vittime di ERW erano 9220 nel 1999, nel 2015 sono state 6461.
Le vittime sono più spesso mutilate che uccise dall’ordigno. Delle 72739 persone che dall’anno 1999 al 2015 hanno accidentalmente preso contatto con questi ordigni, molte non hanno perso la vita ma soffrono invece di conseguenze fisiche e psicologiche a lungo termine.
Lo studio si fregia poi di un valore aggiunto: è il primo a porre in questione l’impatto psicologico e non solo fisico di questi esplosivi seminati durante le guerre ed il primo ad indagare il carico economico e il peso sociale sulle spalle delle vittime, delle loro famiglie e delle comunità.
L’analisi
Gli autori hanno scandagliato Web of Science, Scopus, PubMed, e ProQuest trovando 10226 studi riguardanti le ERW. Il processo di limatura di questa massa di studi grezza ha portato, dopo varie esclusioni per doppi risultati, assenza di full-text, presenza di militari nel gruppo studiato e rischio di bias, ad un numero finale di 54 studi utilizzabili.
Il quadro finale è complesso, ampio.
I risultati
Studi sull’incidenza a la mortalità di ferite da ordigni sono stati eseguiti in Cecenia, Kurdistan, Eritrea, Afghanistan. Entrambi gli indicatori oscillano non solo fra i vari studi, ma all’interno del singolo studio stesso: questo perché tutto dipende dalla fase di avanzamento del conflitto in corso. In Afghanistan, per esempio, con l’inizio della guerra nel 2001 fra Talebani e forze di Coalizione, il numero di lesioni sale: succede dal 2001 al 2002, per poi invece diminuire.
In rapporto, sono più gli uomini delle donne a essere vittima o riportare mutilazione e sempre durante l’età produttiva dal punto di vista economico (15-64 anni).
Allevatori, agricoltori e le loro famiglie private della fonte di sostentamento: ecco chi paga il prezzo delle guerre.
Bambini e adolescenti sotto i 18 anni risultano essere dal 22% al 55% delle vittime totali, colpiti più spesso che gli adulti alle braccia e alla testa, in generale alle parti superiori del corpo.
In un Paese come la Cambogia, dove la media del conseguimento dell’educazione infantile è di 4,5 anni, si può perdere fino ad un anno di educazione per via della contaminazione dei terreni per le mine.
Il tempo per arrivare ad punto di soccorso può essere troppo. In Iran, dalle zone rurali, le vittime possono aspettare dai 15 min alle 24 ore prima di raggiungere un centro sanitario.
Le mine vanno tolte
In Afghanistan, le pratiche per bonificare dalle mine i terreni hanno aumentato non solo la sicurezza fisica, ma anche la produttività e la sicurezza per le infrastrutture sociali (nonostante ne abbiano avuto più vantaggi gli uomini delle donne); in Angola è stata identificata una relazione causale fra la presenza di mine e la salute infantile: diminuiscono peso e altezza per età.
In Cambogia, il 61% delle vittime di un’esplosione di un ordigno abbandonato o inesploso ha contratto un debito per farsi curare, il 12% ha dovuto vendere beni. In Afghanistan la situazione è egualmente drastica: 85% delle vittime ha contratto un debito e il 60% ha dovuto vendere addirittura dei beni.
Così, come s’inceneriscono gli arti, si spezzano le famiglie e le comunità.
Non è solo un problema di sicurezza, è un problema da ogni punto di vista. La mine sono un distillato di violenza e bestialità, infrangono ogni cosa, dalla carne all’impalpabile. L’unica soluzione è una politica comune di bonifica e messa in sicurezza di ogni zona colpita e infestata da mine, ordigni inesplosi e abbandonati.
Certo è che con il budget più basso fra donazioni e contributi statali dal 2005 a questa parte, il 2015, con soli 471,3 milioni di dollari di finanziamento, non è certo stato un buon segnale per cominciare il lustro che stiamo vivendo. Bisogna ricordarlo: i rischi sono ancora troppo alti.
FONTI| articolo The Lancet