Il caso Charlie Gard e il fallimento dell’opinione pubblica

11556

Quella di Charlie Gard non è solo la storia di un bambino inglese malato, è la vicenda che ci permette di guardare in faccia il fallimento generale dell’opinione pubblica.

Ci permette di tracciare una linea tra la responsabilità d’informazione, completamente tradita, e la libertà d’espressione, tragicamente abusata.

Se il tradimento è giustificato dall’interesse, l’abuso non può che essere giustificato dall’esibizionismo e dall’impreparazione: impreparazione non alla patologia in sé, con i suoi nomi, le sue dinamiche e terminologie, ma impreparazione alla malattia, alla morte e talvolta alla natura.

Ecco che si finisce a dare il proprio parere dando la voce alla pancia, agli istinti più primitivi e partendo da frammentarie notizie, incomplete o addirittura errate.

Alla fine questa storia ha avuto un’eco mediatica mondiale. È stata strumentalizzata anche dalla politica e dalle religioni.

Si è finiti a dire cattiverie e giunti a gesti di violenza inaudita. Il tutto a scapito della famiglia Gard, degli eccelsi professionisti coinvolti e alla verità oggettiva dei fatti.

Come avrete già avuto modo di capire, non ci piace come il tutto stia degenerando attorno a questa storia, vogliamo quindi dirvi qualcosa pure noi.

Per non scadere dobbiamo partire dall’inizio della storia, forse ci dilungheremo un pochino.

LA VICENDA

Charlie è nato il 4 agosto 2016.

Uno dei primi giorni di ottobre viene portato dal medico facendo notare che già dopo le prime settimane di vita era meno attivo rispetto i coetanei e che non aumentava di peso, nonostante fosse nutrito al seno ogni 2-3 ore.

L’11 ottobre Charlie diventa letargico e il suo respiro si fa sempre più superficiale, viene quindi trasferito al Great Ormond Street Hospital for Children (GOSH) -struttura dove è tutt’ora ricoverato.

Intanto, con l’accumularsi di evidenze cliniche e laboratoristiche, il sospetto di sindrome da deplezione di DNA mitocondriale (MDS) si fa sempre più forte, sospetto confermato a novembre coi test genetici che dimostrano una mutazione in entrambi gli alleli di RRM2B.

Nello stesso tempo continua anche il deterioramento delle funzioni muscolari e cerebrali del piccolo, tant’è che il 15 dicembre comincia a manifestare sintomi epilettici.

I genitori in questo caso fanno quello che qualsiasi genitore farebbe per il proprio figlio: cercano in lungo e in largo una possibile cura, o comunque qualcosa che possa migliorare, anche se di poco, la situazione.

Trovano così traccia del trattamento nucleosidico, trattamento pionieristico per la sindrome da deplezione del DNA mitocondriale, sperimentato con risultati incoraggianti sui topi con deficit di TK2 e, parrebbe, su alcune persone con lo stesso difetto.

Nel tardo dicembre si comincia quindi a seguire questa possibilità: vengono stabiliti i contatti tra i ricercatori americani in questione e il team di esperti britannici che hanno in cura il bambino.

Nonostante le perplessità, cominciano dunque a predisporre lo svolgimento del trial per metà gennaio.

La terapia era stata pensata e provata per MDS dovute a deficienza di TK2 in topi, ma c’erano le basi teoriche potesse funzionare anche in questo caso dove ad essere coinvolto era RRM2B. Non vi era certezza il farmaco potesse passare la barriera emato-encefalica (BEE), ma soggetti con deficit di TK2 non sembravano sviluppare epilessia o encefaliti come i non trattati.

Gli americani avevano messo però in chiaro che si sarebbe potuto provare solo nel caso non vi fosse stato in partenza un severo coinvolgimento cerebrale in quanto questo sarebbe stato una forte controindicazione alla sperimentazione.

Sfortuna vuole che il piccolo sia peggiorato con lo sviluppo di una severa encefalopatia epilettica con frequenti episodi epilettici sub-clinici.

Di conseguenza il protocollo è stato sospeso e, vista la mancanza di prospettive di miglioramento, è stata chiesta l’autorizzazione alla sospensione della ventilazione meccanica e al passaggio alle cure palliative.

Da qui, tutta la diatriba legale iniziata all’High Court of Justice di Londra e passata poi per la Corte d’Appello, la Corte Suprema e in fine per la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo: non essendoci accordo tra genitori e medici circa il futuro trattamento di Charlie, si è chiesto ad un giudice di decidere.

Dopo aver interpellato le varie parti in causa, richiesto numerosi secondi pareri e sentito gli esperti americani circa il trattamento nucleosidico, l’11 aprile, l’Alta Corte di Giustizia londinese ha accolto la richiesta dei medici del GOSH.

La decisione è stata poi confermata il 25 maggio dalla Corte d’Appello, l’8 giugno dalla Suprema Corte e dalla Corte Europea per Diritti dell’uomo il 27 giugno.

CHARLIE, LA MALATTIA, LA SPERANZA E LA DECISIONE.

Entriamo ora nel vivo della questione facendo un passetto indietro e focalizzando alcuni particolari.

Charlie e la sua malattia.

Charlie è affetto dalla sindrome da deplezione di DNA mitocondriale (MDS): si tratta di un gruppo di patologie genetiche causate da mutazioni di geni nucleari coinvolti nel mantenimento del DNA mitocondriale.

In particolare Charlie è affetto dalla forma encefalomiopatica coinvolgente il gene RRM2B, localizzato sul cromosoma 8 e responsabile della codifica della subunità minore dell’enzima Ribonucletide Reduttasi, necessario per la sintesi dei nucleotidi che vengono utilizzati per la sintesi del DNA dei mitocondri.

La carenza di nucleotidi per la produzione di DNA mitocondriale porta alla disfunzione dei mitocondri in svariati tipi di cellule. Da qui lo sviluppo di una malattia molto grave che colpisce il corpo in toto e si manifesta in primis con progressiva disfunzione cerebrale, indebolimento muscolare e alterazioni renali.

Charlie ha il cervello, l’apparato muscolare e la funzionalità respiratoria gravemente compromessi; anche il cuore, il fegato e i reni sono danneggiati.

Presenta inoltre sordità congenita ed epilessia.

La debolezza muscolare è talmente importante che non è in grado di muovere le braccia, né le gambe, né di respirare autonomamente, le palpebre non riescono a tenersi aperte e gli occhi puntano in 2 direzioni diverse. La retina fatica a svilupparsi e le sue onde cerebrali suggeriscono che non sarà in grado di stabilire normali schemi visivi.

Le visite neurologiche, tra le altre cose, hanno rilevato che spontaneamente eseguiva solo qualche smorfia con la bocca; nessun movimento degli arti, delle mani o dei piedi, nessuna apertura spontanea degli occhi.

Viene riferito dal personale infermieristico che si è occupato di lui nei vari mesi che non hanno mai avuto evidenza rispondesse ai propri genitori, che non fosse possibile dire se stesse dormendo meno o se provasse dolore, piacere o agio; nonostante l’aumento di peso, nessun miglioramento clinico era stato osservato e, in tutti quei mesi, l’unico cambiamento tangibile osservato era il rinforzo della terapia.

La terapia della speranza

Sviluppata e provata con risultati incoraggianti su topi e un ristretto numero di persone con sindrome da deplezione di DNA mitocondriale da deficit di TK2 (TK2-MDS), versione meno grave di quella provocata dal danno a RRM2B, era l’ultima speranza per il bimbo malato.

Non è mai stata provata neppure sui topi con RRM2B-MDS, ma secondo il Dr. Hirano c’erano i presupposti scientifici perché potesse avere un qualche effetto in questo caso.

Non è mai stata provata in soggetti con encefalopatia, condizione che a detta dello stesso team di esperti americani è una controindicazione al trattamento; non c’è neppure l’evidenza che il farmaco possa passare la barriera emato-encefalica (BEE), ma soggetti con deficit di TK2 non sembravano sviluppare epilessia o encefaliti come i controlli non trattati.

Anche nell’eventualità il farmaco arrivi al cervello, in caso di encefalopatia avanzata, tutti gli esperti coinvolti hanno concordato l’impossibilità di invertire la situazione di neurologica.

La sentenza

Come già scritto prima, la sentenza è stata scritta non prima di aver sentito tutte le parti in causa e di aver preso in considerazione numerosi secondi pareri sulla situazione clinica e sui dati della terapia sperimentale. Oltre tutto, è stato valutato quanto Charlie avrebbe beneficiato della terapia, tenendo conto del suo stato e del dolore che avrebbe potuto provare.

È interessante notare come sia stato più volte marcato e rimarcato nel testo che non sono implicati assolutamente fattori economici e che la scelta finale non è dovuta a opinioni personali ma all’applicazione della legge sulla base di tutte le evidenze riportate, tra cui l’opinione dei genitori del bambino secondo cui – citando letteralmente- “la sua attuale qualità di vita non vale la pena di essere sostenuta“.

THE NEVER ENDING STORY

Nel mentre, quella che doveva essere la “semplice” storia di un bambino gravemente malato, di due genitori che vogliono tentare l’impossibile per amore e di professionisti che operano in scienza e coscienza e fanno quello che per legge sono tenuti a fare, il caso diventa mediatico fino ad essere di interesse mondiale.

Addirittura personalità come Donald Trump e Papa Francesco scendono nell’arena.

Succede quindi che al GOSH viene sottoposto un nuovo protocollo sperimentale prodotto da un team internazionale capitanato da Michio Hirano della Columbia University Medical Center e che l’ospedale chieda una nuova udienza alla Corte Suprema per valutare questa opzione.

Il Dr Hirano è l’esperto intervenuto anche in precedenza e indicato nei testi delle sentenze come “Dr. I”.

La sentenza finale è stata fissata per il 25 luglio.

QUELLO CHE NON CI è PIACIUTO

Buona parte di chi si è confrontato con questa pesante storia, lo ha fatto con una insensibilità rara, con indecorosa superficialità che in tutta questa vicenda è probabilmente l’unica ad aver tolto dignità al piccolo Charlie. E qui vogliamo dire la nostra – quasi.

Molti si sono lanciati al grido di “medici assassini“.

Dire che questa è una cattiveria gratuita è un eufemismo. Volendo partire da un punto di vista pratico, i medici e tutto il resto dello staff hanno fatto tutto quello in loro potere per il benessere di Charlie operando in scienza e coscienza e non incedere in problemi legali, hanno provato -nei limiti della legalità- ogni strada percorribile seppur mai tentata.

Gridare al nazista e all’assassino è peggio che sparare sulla Croce Rossa -per dirla con le parole di Alessandra Rigoli a TPI. È sparare contro uomini che sono uomini veri, capaci umilmente di prendere atto della propria impossibilità in questa circostanza e che hanno l’eroicità di domandarsi cosa è bene dunque fare, anche quando il da farsi è decisamente scomodo e incomprensibile per molti: parlare ai genitori del fallimento proprio e della medicina e prendersi cura fino in fondo della persona, rispettandola fino all’ultimo nel suo essere più prezioso di ogni cosa nel tratto di strada che verosimilmente porterà alla morte.

[…] I pazienti sono lo scopo della vita lavorativa di un medico, mica i soldi o il riconoscimento sociale che semmai sono conseguenze. 

Se non c’è nulla da perdere, perché non provare lo stesso?

Per rispondere a quest’altro tormentone si può chiamare in causa il concetto di accanimento terapeutico, fatto considerato generalmente poco accettabile anche dalla dottrina Cattolica.

Da Wikipedia, L’accanimento terapeutico consiste nell’esecuzione di trattamenti di documentata inefficacia in relazione all’obiettivo, a cui si aggiunga la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un’ulteriore sofferenza, in cui l’eccezionalità dei mezzi adoperati risulti chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specifica.

Nel caso di Charlie, allo stato attuale delle conoscenze, la somministrazione della terapia nucleosidica è considerabile accanimento terapeutico.

La terapia non è mai stata provata neppure su modello animale della specifica malattia, non ci sono evidenze dirette possa passare la BEE e, anche potendo farlo, non migliorerà in maniera significativa il suo quadro cerebrale.

In pratica, nel caso la terapia funzionasse, le sue condizioni di vita non migliorerebbero, vi sarebbe solo un aumento della sopravvivenza; aumento della sopravvivenza che nei topi -secondo quanto riportato- è stato mediamente del 4% rispetto l’aspettativa di vita di un topo sano.

Considerando la viva possibilità che il piccolo Gard possa sentire dolore, avrebbe senso continuare a farlo soffrire per una prospettiva così infima?

Bisogna poi puntualizzare che le sperimentazioni, per quanto possano riguardare una cura compassionevole, devono essere regolate da protocollo e devono avere un fondamento tecnico-scientifico. In questo caso la sperimentazione si era detta controindicata in caso di segni di grave compromissione encefalica, fatto che col suo verificarsi ha fatto saltare tutto.

Per quanto la “burocratizzazione” della scienza e della medicina sia talvolta vista male, è necessario ricordare che son proprio l’ordine e la disciplina caratteristiche di questi ambiti a contribuire a darne la rilevanza.

Più di qualcuno si sarà certamente posto la domanda: anche se il bambino non ne trarrà beneficio, perché non fare l’esperimento per puri fini scientifici?

Per quanto la scienza potrebbe sicuramente giovare di questo trial, quello che è il miglior interesse per la medicina non è il miglior interesse per Charlie.

Oltre al fatto che non è eticamente accettabile che venga usato un essere umano senza che questo ne abbia benefici o che addirittura ne abbia svantaggio, una sperimentazione del genere contravverrebbe in pieno alla Dichiarazione di Helsinki sulla sperimentazione, in particolare ma non solo, all’articolo che sostiene che in una sperimentazione il benessere del singolo deve avere l’assoluta precedenza al benessere della società.

La strumentalizzazione politica

È un omicidio con la complicità, anche questa volta, dell’UE che tace” ha inveito un leader politico italiano, mentre un altro suo connazionale ha scritto “Un viaggio di coraggio e di speranza, una musica che trova orecchie da mercante in questa europetta insipida e senz’anima“. Un altro ancora ha scritto “E un piccolo cucciolo d’uomo non valeva un’attenzione diversa delle autorità europee?“.

Altri ancora hanno offerto la cittadinanza per poter chiedere l’espatrio e fornire il trattamento pionieristico del Dr. Hirano o solo per garantire non vengano staccati i macchinari.

Se c’è una cosa che ci ha dato forse più fastidio della gente che ha parlato a vanvera per avere un like in più o per occupare una pagina di giornale, è stata la strumentalizzazione politica della faccenda.

Strumentalizzazione fatta su presupposti sbagliati comunque. Oltre aver trattato argomenti già triti e ritriti, come qualcuno ha già fatto notare, i vari leader politici sono stati ben attenti a inveire contro l’Unione Europea. Questo nonostante la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non sia un’istituzione facente parte la UE.

Era veramente necessario diffondere informazioni scorrette per fare propaganda, irretire la piazza e attirare consensi?

Troviamo che questi atti siano, oltre che estremamente scorretti intellettualmente, veramente irrispettosi di chi è coinvolto nella vicenda.

 

Il caso Charlie Gard è dunque la storia di un bambino gravemente malato, di due genitori che vogliono tentare l’impossibile per amore e di professionisti che operano in scienza e coscienza e fanno quello che per legge sono tenuti a fare, diventata uno degli emblemi del fallimento dell’opinione pubblica.

Quell’opinione pubblica che si esprime di pancia pur senza competenze o su notizie frammentarie (notizie fornite in maniera inadeguata forse volutamente dai mass media) o su scorta di sproloqui di politici in perenne campagna elettorale.

Abbiamo preferito non trattare oltre la questione in questo articolo, avremmo potuto inoltrarci in questioni squisitamente di natura etica la cui risposta esula dalle nostre capacita.

È giusto che un giudice decida le sorti di un bambino quando i medici e genitori hanno opinioni diverse o che i genitori siano troppo compromessi emotivamente?

Nel caso non venisse effettuata la terapia nucleosidica, è giusta la sospensione della ventilazione ed il mantenimento di una palliazione o è più corretto sostenere le funzioni vitali del malato finché la natura non farà il suo corso?

Queste sono un esempio di questioni che trovano, per loro natura, diverse possibili risposte e forse nessuna più corretta dell’altra.

In attesa di nuovi sviluppi, ci sentiamo di dire una cosa. La vita ad ogni costo non è necessariamente giusta.

È giusto però discuterne con i mezzi e le parole giuste, senza ricorrere a dogmatismi sterili, senza appellarsi a valori che in questa storia sono stati più che rispettati dai medici, meno da altri.

 

FONTI e APPROFONDIMENTI| Il materiale utilizzato per la stesura di questo articolo e gli approfondimenti proposti sono in gran parte linkati nel testo, qui in calce trovate ulteriori materiali utilizzati.

GOSH- FAQ sul caso; Testo completo della sentenza dell’Alta Corte di Giustizia; GOSH- Comunicato stampa 22/07/2017;

AUTORI| Antonella Moschillo, Mattia Ballo

 

 

Mattia Ballo
Redazione | Nato il 19 novembre 1992. Iscritto al VI anno del corso di laura magistrale in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli studi di Padova. Il bello della medicina è che ti da la possibilità di vedere il mondo con occhi diversi. Incuriosire e stimolare: questi sono gli obiettivi che voglio raggiungere assieme a tutti i ragazzi de "La medicina in uno Scatto".