Era fine settembre, stavo per iniziare il quarto anno e avevo deciso di fare un qualche giorno di tirocinio a scelta a Ginecologia. I primi due erano passati in sala operatoria mentre quel giorno sarebbe stato in ostetricia, sala parto.
Lì per lì tutto bene: un’ostetrica molto dolce e disponibile, la dottoressa ed io a seguirla come mamma oca; la partoriente era una ragazza giovane, sui 30 anni, accompagnata dal marito visibilmente più preoccupato di lei, ma l’atmosfera rimaneva molto rilassata tra convenevoli e “Giulia? Che bel nome per la bimba!” o “ah che bello che studi medicina, e dopo cosa vuoi fare?”. Insomma, sembrava una sala da tè, quasi. Il marito intanto camminava in tondo e nervosamente ci sorrideva.
Essendo il tutto così disteso la dottoressa decise di passare dal reparto, voleva dare un occhio ad una neo-mamma, una chiamata al volo per il risultato di alcuni esami ematici e ritornammo nella stanza. La situazione si era fatta appena più movimentata: la ragazza cominciava a digrignare i denti e mugugnare di tanto in tanto mentre Giulia e l’utero stavano decidendo sul da farsi, il marito si era seduto, si mordicchiava una mano e l’ostetrica sembrava quasi più impegnata sul tranquillizzarlo piuttosto che sulla nascita. Intanto mi dicevo: “beh dai, il parto me lo aspettavo peggio”.
Le ultime parole famose.
Non ricordo esattamente quanto passò, ma l’escalation fu decisamente improvvisa e, per me, decisamente inaspettata.
Urla, tante urla, l’ostetrica calma e dolce mentre oddiomio ma sta uscendo da lì, ma non ci può passare per la miseria, e urla, e un momento di pausa, sorriso accennato e ancora urla come un Mohicano e dentro che urlavo anche io datele qualcosa non fatela soffrire così per favore, per favore! Ma il cesareo? Quelli che avevo visto il giorno prima erano così belli, un taglio, si tira un po’ e oplà! come il coniglio dal cilindro, ecco il bimbo, senza urla perdio senza tutta questa baraonda, ridatemi il cesareo.
Una chiamata, di nuovo, parto complicato nella stanza di fianco per cui la ginecologa si assentò e, quasi contemporaneamente, l’ostetrica mi guardò e con quel suo sorriso contagioso mi disse “esco un secondo anche io, non ti preoccupare, prova a tranquillizzarla un po’ che arrivo.”
Le sorrisi di rimando, come era carina.
…
Madre Santa COSA? Io da solo?
Realizzai con qualche secondo di ritardo mentre un brivido di panico mi scuoteva le vertebre.
Mi voltai verso la ragazza che mi fissava con occhi da gorgone, madida di sudore, si intravedeva la testa della nascitura, mioddio la testa, una goccia le attraversava la fronte perdendosi sul naso, mentre il marito era seduto sulla poltroncina apparentemente privo di vita, bianco cadaverico, forse più sudato di lei con le lacrime che gli affollavano le rime degli occhi, tremava. Lei si rivolse a me dicendo: “Franci, ma la Giulia quando esce che porca di quella troia maledetta non ce la faccio più?”
Ero pietrificato, un grido mi rimbombava nel cranio.
Tranquillizzala un po’ mi avevano detto, ma cosa ne sapevo di quando la Giulia voleva uscire o stare dentro? Chiedilo a tuo marit… no non a lui, dopo lo rianimano, ma non a me, io sono uno studente! Perdio io non so nemmeno perché son qui!
Feci un verso strozzato e le misi in fronte una garza bagnata, non so perché ma quantomeno non mi chiese altro, continuando a guardarmi con odio.
Erano passati pochi minuti, rientrò con il sorriso chi di dovere e tutto andò per il verso giusto.
Mentre i due coccolavano la nuova arrivata, tanto sporca ma tanto bella, l’ostetrica mi chiamò: “Visto, è stato un parto semplicissimo! Ti va di andare a dare la buona notizia ai nonni?”
Uscii pensando ai parti complicati, e mentre un signore con i baffi, commosso, mi stringeva la mano mi dicevo:
“Gene Y, non ti ho mai voluto bene come oggi”