Da Medicina al Fight club

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Le maniche del camice rimboccate come sempre, una mano sulla tenda, lo speaker del pronto soccorso in lontananza mentre nella stanzetta di fianco cercano di fare anamnesi ad una signora con calcoli renali, ma non posso, non devo farmi distrarre. Io e lui, dietro questa tenda, avanti, ti stavo aspettando. Francesco il tuo polso non deve tremare, avanti scosta quella tenda, mostragli che non hai paura, non vacillare.

Era il primo giorno del terzo anno e me ne stavo con i miei compagni di fronte al bar del Policlinico sotto il sole sbiadito di Ottobre, dopo il rito del caffè, aspettando che arrivasse l’ora di entrare in aula. Non ricordo bene di cosa si stesse parlando, forse delle disavventure gastriche sul bungee-jumping di Mattia, o forse cercavo di stupire Kamilla con la mia rinnovata conoscenza sul Kazakistan grazie a Son Pascal e il suo programma su DeejayTV; quello che ricordo fu uno spintone da dietro. Mi avrà urtato qualcuno, ipotizzai, e con faccia solare mi voltai per accettare le scuse dello sconosciuto.

Invece era la bocca digrignata, circondata da un pizzetto nero e spelacchiato, dell’uomo senzatetto che dormiva nel parco vicino alla mensa dell’ospedale. Mi trovai le sue mani al collo mentre cercava di strozzarmi all’urlo di “Pezzodimmerda, pezzodimmerda!”. Venni investito dall’odore caldo e stantio dell’alcol che arrivava a ventate dai denti ingialliti. Preso comprensibilmente dal panico lo spinsi via e lui si lasciò ciondolare indietro, con le sopracciglia aggrottate. Sputò per terra farfugliando un altro pezzodimmerda.

Intorno sguardi sbarrati, aria ferma, nessuno che riuscisse a collegare i puntini per capire come mai dall’idilliaca scena di una manciata di studentelli in chiacchiere si fosse passati al fight club senza passare dal Via!. Mattia che mi tirava verso l’entrata dell’ospedale “oh vez vai via che c’hai un taglio sul collo”,  mentre l’uomo tornava a sdraiarsi su una panchina vicina estraendo una sigaretta macilenta dalla tasca.

Il tutto sarebbe finito lì se non fosse che mentre ero seduto in PS ad aspettare una garza con un poco di betadine, mentre mi domandavo come mai io ispirassi violenza nei cuori altrui, sentii rimbombare in sala d’aspetto una voce profonda: “Francesco? Lo studente del collo?”

Un poliziotto con aria seccata si scrutava intorno alla mia ricerca. La privacy ed altri mondi fantastici.

Venne fuori che qualcuno dal bar aveva chiamato la polizia, il senzatetto aveva sputato addosso ad un agente e, non pago del folklore, era anche un simpatico portatore di Epatite B e D, e che di conseguenza era meglio tenermi d’occhio, sebbene fossero tutti quantomai tranquilli sia perché il graffio era largo ma molto superficiale, sia perché i miei genitori decisero di fidarsi del pediatra e non di www.bigpharmaeirettilianicicontrollano.blogspot.org e di conseguenza mi vaccinarono a tempo debito.

Da quel momento si creò la leggenda dell’Aggressore, ogni volta che qualcuno lo vedeva in giro per Modena, al Policlinico o in Stazione, mi mandava un messaggio su whatsapp del tipo “è qui che chiede di te”, “gli manchi” o più comunemente “pezzodimmerda”. Che dolci.

Mesi dopo stavo facendo tirocinio in PS, il medico che seguivo stava compilando una lettera di dimissione e distrattamente mi disse che nella stanza 7 c’era un uomo con quella che pareva essere una colica biliare e, quindi, di iniziare a fare anamnesi ed esame obiettivo.

“Ma forse hai presente chi è, è quel senzatetto che sta sempre in stazione, ogni tanto girava anche qui nell’ospedale.” Mi disse mentre mi allontanavo. Sbarrai gli occhi.

Ed eccoci al punto di partenza, io davanti alla tenda, pronto per incontrare di nuovo l’Aggressore, stavolta il pezzodimmerda non si farà trovare impreparato.

Scostai la tenda, stringendo una mano a pugno.

Sul lettino se ne stava sdraiato un vecchio signore dalla barba bianca che, nell’attesa, si era messo a cercare tesori nelle sue narici. Niente Aggressore, niente collo, niente appassionanti sfide di lotta greco-romana.

Non ricordo di aver fatto esame obiettivo addominale più sollevato.

Francesco Giaroni
Nato nel 1992, laureato in Medicina e Chirurgia all'Università di Modena e Reggio Emilia nel 2017, ancora non se ne capacita e dice che da grande farà l'archeologo. Estimatore di Jorge Luis Borges e della FIAT Multipla, attualmente cerca di districarsi tra glomerulonefriti e iperpotassiemie con scarsi risultati. Ha pubblicato un libercolo di racconti brevi dal titolo "Io, Ernesto e gli altri."