Un articolo pubblicato sul PNAS, di qualche settimana fa, ha contribuito a chiarire ancor di più la patogenesi di una forma particolare di porfiria, la protoporfiria eritropoietica (EPP), gettando nuove basi nella comprensione di questo raro gruppo di patologie così strettamente legate a leggende e racconti fantastici (e di cui, a tal proposito, avevamo già parlato qua).
Riassumendo, le porfirie sono un gruppo di otto patologie, prevalentemente congenite ad eredità autosomica sia dominante che recessiva, legate ad alterazioni degli enzimi deputati alla sintesi dell’eme, una molecola contenente ferro principalmente presente nell’emoglobina e nella mioglobina, ma anche nel fegato e in altri tessuti (a concentrazioni più basse). Anomalie nel funzionamento degli enzimi che mediano il processo si traducono in accumulo di sostanze e deplezione di altre, che possono portare a sintomi molto gravi.
In base all’insorgenza di quest’ultimi, sono state distinti tre forme principali:
- Neurologiche o acute intermittenti ( porfiria acuta intermittente, ALA-D porfiria): sono caratterizzate da sintomi neuroviscerali e psichiatrici ricorrenti, in occasione della riattivazione degli enzimi deficitari. Sono caratterizzate da dolore addominale, nausea, vomito, oltre che depressione, attacchi d’ansia, disorientamento, allucinazioni, paranoia, fino al coma nei casi più gravi. Generalmente la durata degli attacchi è di due-tre settimane.
- Cutanee (porfiria congenita eritropoietica, porfiria cutanea tarda e protoporfiria eritropoietica): sono caratterizzate da assenza di segni neurologici, con predominanza di quelli cutanei: lesioni bollose e dolore nelle aree della pelle esposta ai raggi UV, iperpigmentazione, crescita dei peli; a volte possono presentarsi disfunzioni epatiche, eritrodonzia e pallore cutaneo.
- Miste (coproporfiria ereditaria e porfiria variegata), caratterizzate da entrambe le manifestazioni.
LA PROTOPORFIRIA ERITROPOIETICA

Lo studio in oggetto si è occupato in particolare della protoporfiria eritropoietica, una rara forma cutanea (prevalenza mondiale di 1/75000-90000) caratterizzata, a livello patogenetico, da mutazioni che portano alla carenza di ferrochelatasi (FCH) nel 90% dei casi, mentre in circa il 10% c’è una iperattività della ALA sintetasi tipo 2 (ALAS2). In entrambe le forme si ha, come risultato finale, un accumulo di protoporfirina IX, in quanto nel primo caso non funziona l’enzima che, utilizzando la PPIX, porta alla formazione dell’eme, mentre nel secondo si accumula questo substrato a causa della ridotta capacità della ferrochelatasi di utilizzarlo. La PPIX in eccesso, prodotta principalmente nei globuli rossi, esce dalla cellula e arriva al fegato, dove viene eliminata successivamente con la bile ed infine con le feci. La sostanza si può accumulare anche nella pelle, dando invecchiamento delle aree esposte al sole, e dare anomalie delle vie biliari (nel 10% dei casi).
LO STUDIO
Ii ricercatori sono riusciti a chiarire un terzo meccanismo di insorgenza della PPE, che spiegherebbe almeno in parte i casi mancanti, studiando una famiglia affetta: il gene mutato sarebbe CLPX, che normalmente codifica per una proteina capace di interagire, utilizzando l’ATP, con altre proteine, attivandole o spegnendole. Nel caso specifico CLPX agirebbe attivando ALAS e aumentandone la degradazione, permettendo un corretto funzionamento dell’enzima.
METODO E RISULTATI
Protagonista dell’esperimento è stata una famiglia del Nord della Francia, in cui il probando, una ragazza caucasica di 18 anni, soffriva di protoporfiria eritropoietica da causa sconosciuta, in quanto negativa per i normali geni associati alla malattia, e anemia microcitica. Il padre e lo zio erano portatori di forma lieve.
Utilizzando il sequenziamento whole-exome (cioè una metodica che consente di “vedere” le parti codificanti di tutti i 30000 geni), si è potuta dimostrare una sostituzione G>A nell’esone 7 di CLPX, dimostratasi successivamente non comune nella popolazione generale. Utilizzando la metodica Sanger, inoltre, hanno potuto confermare che il padre era portatore della mutazione e che questa forma specifica risulta essere, così, a penetranza incompleta (cioè la malattia non si manifesta allo stesso modo in tutti i portatori della mutazione) e con un pattern ad eredità mendeliana di tipo dominante (significa che una coppia di genitori ha il 50% di probabilità di trasmettere la malattia ai figli).

Per capire gli effetti della mutazione i ricercatori hanno utilizzato degli speciali fibroblasti (cellule del tessuto connettivo) nei quali hanno riproposto la mutazione, mostrando che l’allele mutato ha la capacità di:
- bloccare l’allele sano (effetto dominante negativo);
- diminuire l’attivazione di ALAS;
- ridurre la degradazione dell’enzima stesso;
Nonostante i due processi siano opposti, gli effetti negativi sulla diminuita attività sono risultati più deboli rispetto a quelli sulla degradazione, quindi si ha, come risultato finale, un accumulo di ALAS e di conseguenza la porfiria (a causa del fatto che la ferrochelatasi non riesce smaltire tutto la PPIX in eccesso). Medesimi risultati sono stati ottenuti lavorando con modelli animali (zebrafish).
PROSPETTIVE FUTURE
Questo nuovo meccanismo aggiunge elementi importanti nella comprensione di malattie spesso dimenticate, ma dagli effetti molto gravi e capaci di minare la qualità della vita in maniera importante, quali sono le porfirie, a dimostrazione che, ancora una volta, bastano piccole, apparentemente insignificanti cambiamenti nel nostro DNA per determinare condizioni patologiche devastanti.
FONTI| articolo PNAS; Porfiria; Pontieri, Russo, Frati “Patologia generale e fisiopatologia generale” volume 2;
APPROFONDIMENTI| Articolo Review sulle porfirie