Salgono a 86 gli ultimi casi documentati nel Lazio. Da un lato il Ministro Lorenzin assicura l’inesistenza di un conclamato pericolo sanitario, dall’altro l’emergenza sangue nella regione capitolina ed i bisticci sulla disinfestazione. Oltralpe l’autorevole OMS mette in guardia i viaggiatori diretti al Belpaese (scatenando non poche polemiche). Al momento si evince dunque solo tanta confusione. Ma è davvero emergenza Chikungunya? E’ giunto il momento di difendersi dalle arbovirosi?
Il virus CHIKV
Chi-kun-gu-nya. Alzi la mano chi sa pronunciarlo! A voler essere sinceri, fino a ieri risultava pressoché anonimo fra i più. Eppure tra boom mediatici del momento e le imbarazzanti difficoltà di pronuncia, i primi focolai riconosciuti del virus risalgono già, sorprendentemente al diciottesimo secolo (Indonesia, per la precisione). Di lì tutto più o meno tace – salvo un’epidemia notificata in Tanzania nel 1952 – e dobbiamo attendere il nuovo millennio per assistere ai primi, sporadici casi in Italia.
Membro del genere Alphavirus, virus a RNA a singolo filamento, Chikungunya (CHIKV) appartiene alla grande famiglia dei Togaviridae ed è in grado di infettare i vertebrati sfruttando come vettore alcuni artropodi ematofagi.
Sintomi e trattamento
Dopo un periodo di incubazione di circa dieci giorni, la malattia si manifesta improvvisamente nei suoi peculiari segni e sintomi, corrispondenti a febbre, cefalea, rash cutanei, mialgia e soprattutto una forma di poliartrite simmetrica (da cui il nome del patogeno).
Più nel dettaglio, sembrerebbe che il virus abbia la capacità di provocare infiltrazione leucocitaria, produzione di citochine proinfiammatorie ed attivazione del complemento. Sebbene la sintomatologia sia destinata generalmente a regredire in poco tempo, in rari casi si registra una persistenza fino a 3-5 anni.
Il trattamento della malattia è generalmente sintomatico, avvalendosi principalmente di analgesici vari, FANS e antinfiammatori steroidei a basso dosaggio. In situazioni più gravi si è ricorsi a metotrexato, immunosoppressore e all’idrossiclorochina. Questa è principalmente sfruttata come antimalarico, ma si è spesso rivelata valida alleata nella riduzione dello stato infiammatorio in patologie autoimmuni, quali lupus e artrite. Nel caso specifico di CHIKV, entrambi i farmaci hanno mostrato risultati variabili. Non sono ad oggi disponibili vaccini o antivirali specifici.
Le modalità di trasmissione ed il rischio epidemie
La trasmissione ai vertebrati si realizza mediante il morso delle zanzare femmine del genere Aedes, la cui specie diffusa nel nostro territorio è l’Albopictus. Più semplicemente nota come “zanzara tigre”, tale specie sembrerebbe distinguersi da altre del genere – vedasi A. Aegypti– per la scarsa capacità vettoriale di ben note malattie tropicali, quali ad esempio Febbre gialla, Dengue, Zika et cetera. Eccenzion fatta per Chikungunya per cui si consolida invece ottimo trasportatore, spiegando in parte l’attuale momento critico nel Lazio.
Una volta inoculato nell’uomo, il virus rimane nel sangue per 3-10 giorni, periodo durante il quale la zanzara può contagiarsi dando vita ad un rinnovato ciclo. Sebbene la vita della zanzara Albopictus (massimo un mese) ed il tempo di replicazione del virus in essa, lascino presumere la possibilità di sviluppo di una congrua popolazione di zanzare infette, ci sarebbe un notevole vantaggio nella zanzara tigre. In effetti non è dimostrata in Albopictus la trasmissione verticale da madre a larva, caratteristica invece ben nota in altre specie del genere; ciò aiuta notevolmente a scongiurare epidemie di arbovirus nelle nostre aree climatiche.
Soluzioni alla diffusione degli Arbovirus in occidente
I recenti eventi hanno in ogni caso destato preoccupazione circa la diffusione di vettori ematofagi nel nostro territorio. A questo proposito, un recentissimo articolo italiano pubblicato su Plos One, analizza il fenomeno dell’ultima decade di sporadiche epidemie di arbovirus nel non generalmente endemico continente Europeo.
Sono stati presi in considerazione dati di sorveglianza entomologica di dieci comuni del Nord Italia, raccolti nel 2014 e nel 2015. Si è quindi sfruttato un modello matematico basato sulle popolazioni di zanzara tigre e la trasmissione del virus, al fine ultimo di valutare l’efficacia epidemiologica, i costi ed i benefici di una disinfestazione routinaria.
Tra le varie conclusioni, emerge che una singola, tempestiva e ponderata disinfestazione può ridurre i casi di CHIKV dal 20 al 30%, mentre il medesimo trattamento ripetuto quattro volte lieviterebbe le percentuali a ben il 43-65% dei casi in meno. Dall’analisi dei costi-benefici si riterrebbe inoltre più vantaggioso adottare interventi localmente circoscritti, contro la disinfestazione di grandi aree urbane.
Evidenze che contribuiscono a chiarire una situazione ancora particolarmente dibattuta. A noi spettatori rinnovati di cambiamenti pressoché ineludibili, non resta che riconoscere ancora una volta la mai trascurabile prevenzione quale alternativa migliore di lungimiranza e risoluzione.
FONTI | Cesmet; Studio disinfestazione