Demenza e sonno REM: scoperta nuova relazione

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Quando si pensa alle varie forme di demenza i primi sintomi che vengono in mente sono i disturbi di memoria, il disorientamento spaziale o la progressiva perdita di autonomia, ma anche i disturbi del sonno rientrano nella lunga lista delle alterazioni vissute dai pazienti.

Proprio su queste alterazioni si è concentrato un gruppo di ricercatori della Swinburne University of Technology, Australia, in uno studio recentemente pubblicato su Neurology.

Dallo studio sembrerebbe emergere un’importante correlazione tra sonno REM e rischio di sviluppare demenza: tanto minore è il tempo trascorso in fase REM, tanto maggiore è il rischio di demenza.

Stadi del sonno

Il sonno è dato dall’alternarsi di cicli della durata di circa 90 minuti, durante i quali si susseguono 5 distinti stadi:

  • Stadio 1, dopo aver chiuso gli occhi l’attività cerebrale inizia a diminuire così come il tono muscolare
  • Stadio 2, l’EMG si riduce ulteriormente, il cuore inizia a battere più lentamente e la temperatura corporea scende
  • Stadi 3 e 4, il sonno diventa profondo e l’attività metabolica del cervello è ridotta
  • Stadio REM, la frequenza cardiaca e respiratoria aumentano rapidamente, l’attività metabolica cerebrale torna a livelli sovrapponibili alla veglia, ma la quasi totalità dei muscoli scheletrici è ora in una paralisi temporanea, ad eccezione degli occhi che compiono rapidi movimenti di opposizione (Rapid Eye Movement)

La fase REM si presenta solitamente a distanza di 1h e 30 da quando ci si mette a dormire ed è la fase in cui il soggetto sogna, da qui l’esigenza di mantenere inattiva la muscolatura scheletrica.

Se non ci fosse tale paralisi l’individuo si ritroverebbe infatti a “vivere” fisicamente i propri sogni ed è quello che accade nei pazienti con REM sleep Behavioral Disorders o RBD.

Un bambino piccolo arriva a trascorrere anche il 50% del proprio sonno in fase REM, mentre nell’adulto tale percentuale si riduce al 20%. Ma cosa succede se si scende ulteriormente?

Studio

I ricercatori hanno indagato la qualità del sonno di 321 pazienti over 60 appartenenti alla coorte del Framingham Heart Study (FHS).

Oltre alle informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative del sonno ottenute grazie al polisonnigrafo, durante il lungo follow-up (fino ad un massimo di 19 anni) sono state periodicamente valutate le performance cognitive dei partecipanti tramite il Mini Mental State Evaluation e, al sospetto di esordio di demenza, si è approfondita l’indagine tramite valutazione neuropsicologica.

Dei 321 pazienti 32 hanno sviluppato una forma di demenza.

Dal confronto tra questi pazienti e quelli rimasti sani durante il follow-up è emerso che i primi, oltre a impiegare più tempo per raggiungere la fase REM, trascorrevano in media solo il 17% del sonno in fase REM, rispetto al 20% della popolazione sana; con un rischio di demenza che aumenta del 9% ad ogni percentile sotto al 20°.

Tali risultati sono stati confermati anche dopo aver escluso variabili quali il sesso e l’età, quest’ultima importante in quanto con l’avanzare dell’età il tempo trascorso in fase REM si riduce fisio-patologicamente.

Marker o causa di demenza?

Ma un’associazione non necessariamente presuppone una causalità: la riduzione del sonno REM è quindi un marker precoce di demenza o piuttosto un fattore scatenante?

Da una parte bisogna considerare che per la fase REM è importante il corretto funzionamento dei neuroni colinergici, gli stessi che vengono danneggiati dall’Alzheimer. Conseguentemente si potrebbe pensare che la disfunzione di questi neuroni causata dall’AD possa portare ad un’alterazione del sonno REM.

Dall’altra parte, l’associazione tra riduzione del sonno REM e aumento del rischio di demenza è stata mantenuta anche escludendo i pazienti che avrebbero convertito in meno di 3 anni, suggerendo che i risultati non siano stati influenzati da coloro che erano già destinati a sviluppare una forma di demenza.

In conclusione l’associazione tra sonno REM e declino cognitivo merita sicuramente di essere approfondita, così da riuscire a rispondere a questa importante domanda.

Fonti | Studio Neurology

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Redazione | Nato il 30/01/1993. Frequento l’Università di Modena e Reggio Emilia, Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia. Il mio campo di interesse sono le neuroscienze. “Better is possible. It does not take genius. It takes intelligence. It takes moral clarity. It takes ingenuity. And above all, it takes a willingness to try" - Atul Gawande.