Una ricerca pubblicata su Nature da un team di ricercatori della Rockfeller University di New York dimostrerebbe un particolare meccanismo che la pelle ha per “ricordare” precedenti eventi infiammatori, consentendogli di riparare più velocemente traumi e ferite successive, ma anche di innescare, quando alterato, processi anomali che potrebbero essere coinvolti nella patogenesi della psoriasi.
La pelle (o cute) è il tessuto più esteso del corpo umano, coprendo approssimativamente 1,5-2m^2, nonché il più esposto a traumatismi ed agenti patogeni di varia natura, che hanno necessariamente indotto, per l’omeostasi delle funzioni e dell’integrità, dei complessi sistemi di rigenerazione e riparazione, che consentono a questo organo di mantenersi nello stato ottimale. Una componente fondamentale in questo senso sono le cellule staminali epiteliali (EpSCS), un compartimento presente alla base dello strato germinativo (uno dei 4+1 strati che formano l’epidermide), con funzione di proliferazione e differenziazione in senso epiteliale.
Lo studio
Al fine di capire meglio come la pelle reagisca nel tempo a stimoli infiammatori, i ricercatori hanno creato dei modelli di infiammazione su topi, utilizzando l’imiquimod, una sostanza capace di attivare alcuni recettori (NALP3) e Toll-like 7 espressi dalle cellule staminali e di indurre paracheratosi ed ispessimento della cute, attraverso un aumento della proliferazione e della migrazione degli elementi maturi. Questo tipo di eventi perdurano fino al 6 giorno, dopodiché subiscono un decremento e si mantengono ad livello basale. Si sono poi creati due gruppi, uno in cui sono state stimolate nuovamente delle aree precedentemente lese, utilizzando noxe di diversa natura (infezione da candida, vitamina D, composti irritanti) ed un gruppo in ciò si è semplicemente calcolato il tempo medio di rigenerazione dei tessuti. Il primo gruppo si è dimostrato molto più rapido nella riparazione del secondo danno, impiegando 2,5 volte meno tempo.
Ma quali sono i motivi per cui questo accade? Innanzi tutto gli studiosi hanno evidenziato che i meccanismi messi in campo prevederebbero sistemi intrinseci a livello della staminale piuttosto che un coinvolgimento di effettori secondari, dato che:
- il tessuto depleto dai macrofagi (cellule notoriamente implicate nella riepitelizzazione e nella chiusura delle ferite) non ha dimostrato variazioni rispetto al controllo;
- la contrazione dei miofibroblasti, che faciliterebbe il processo, non peserebbe in maniera decisiva;
- i cheratinociti differenziati dalle staminali sensibilizzate risulterebbero più efficienti e con capacità migratorie migliori;
- la deplezione di cellule dell’immunità adattativa e residenti nel tessuto (Langherans, eosinofili, macrofagi, T γδ esprimenti RORC), nonostante rallentino la velocità complessiva del processo, non hanno determinato effetti marcati, in quanto la chiusura avveniva in un tempo dimezzato rispetto al gruppo di controllo.
Le motivazioni di questo tipo di comportamento risiederebbero nella capacità delle staminali di attivare più velocemente alcuni geni importanti nella proliferazione e nella motilità all’interno del tessuto. Per comprendere come questo sia possibile, i ricercatori hanno purificato le EpSCS sensibilizzate al sesto giorno dopo l’insulto e confrontate con le EpSCS non sensibilizzate: da quanto emerso, risulterebbe che alcuni siti a livello della cromatina (lo stato in cui è organizzato il DNA all’interno del nucleo cellulare) diverrebbero accessibili in maniera più agevole, permettendo il legame di fattori di trascrizione epidermici e modificatori della cromatina presenti normalmente negli stati infiammatori, con la particolarità che tali modificazioni non si traducono in un aumento della trascrizione costitutiva, ma soltanto della possibilità che possano venir attivati al bisogno (quindi al successivo evento lesivo). In generale, si è visto che circa 140 geni sono attivati nelle prime 12h dopo l’insulto, di cui 73 (53%) rimangono accessibili fino alla morte delle cellule sensibilizzate.
Cosa aspettarsi da queste evidenze?
Il pathway arrivato dagli stressors attiverebbe delle vie molecolari all’interno della cellula (inflammasoma), responsabili della produzione de trascritti a valle: gli elementi proteici protagonisti in questo senso sono finemente regolati da molecole sensore, che ne gestiscono attività e produzione. Alterazioni genetiche di questi mediatori porterebbero sì ad una migliorata capacità di riparazione, ma predisporrebbero a neoplasie dei tessuti epidermici nonché a condizioni cutanee di natura infiammatoria, nella fattispecie la psoriasi. Questo disordine proliferativo è caratterizzato da una riduzione del ciclo vitale delle cellule epiteliali, che affrontano tutte le tappe maturative dello sviluppo e differenziazione in un tempo più breve rispetto al normale, portando a secchezza e desquamazione, nonché infiammazione ed aumentato turnover. Uno studio approfondito delle dinamiche della “inflammatory-memory” potrebbe così costituire un’importante tappa per la genesi di farmaci capaci di rallentare il processo.
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