Cara redazione,
mi chiamo Angela e sono una ragazza di 29 anni. Sicuramente vi starete chiedendo perchè vi scrivo e la risposta è semplice: perchè ho deciso di dedicare il mio tempo ai disabili, ma in un modo un po’ diverso dal normale. Sono stata infatti una delle 17 persone selezionate a partecipare al primo corso per Assistenti Sessuali per disabili.
Ma andiamo più a fondo.
La salute è un diritto di tutti. E quando scrivo tutti intendo tutti, dal barbone al ricco miliardario sul suo yatch, dal diversamente abile al maratoneta.
La salute è lo “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”(Definizione OMS), e perciò in questo stato è compresa anche la salute sessuale.
Nel momento in cui nasciamo abbiamo diritto ad essere persone sessualmente attive poiché questo fa parte dei bisogni primari di ogni essere umano. Cosa succede però se al sesso non puoi ‘accedere’ a causa di una disabilità? Ed è proprio di questo che oggi voglio scrivervi, è di questo che voglio parlarvi.
In altri paesi dell’Unione Europea questo tipo di assistenza è ben descritta e strutturata. Vediamo per esempio il caso della Svizzera. In cui l’assistente sessuale è una figura formata adeguatamente che può avere un contatto fisico anche sessuale con una persona disabile. Non è visto come lavoro, ma come un’attività accessoria alla prima occupazione, retribuita. Hanno un loro albo a cui sono iscritti, devono seguire carte di comportamento etico ed hanno un supporto psicologico che li aiuta a dimostrare di avere una vita sessuale e sentimentale equilibrata a prescindere dall’attività che svolgono.
In Italia ci sono state varie proposte di legge volte ad inserire questa figura nel piano assistenziale, l’ultimo è il Disegno di Legge d’iniziativa dei senatori Lo Giudice, Cirinnà ed altri che però attende di essere calendarizzato in Parlamento e non è ancora neanche arrivato in Commissione.
Nel frattempo però, a Bologna, è stato aperto il primo corso per Assistenti Sessuali. Ad organizzarlo è l’associazione LOVEGIVER, che si propone di promuovere attentamente l’educazione sessuo-affettiva, indirizzando al meglio le “energie” intrappolate all’interno del corpo della persona con disabilità.
Infatti come dice Nina de Vries, un’assistente sessuale che lavora all’estero: «Talvolta accade che persone – principalmente con disabilità psichica – attirino l’attenzione su di sé, per comunicare bisogni di tipo sessuale, dimostrando aggressività, autolesionismo, generando situazioni estreme in cui genitori e assistenti non sanno più come comportarsi […] Di solito si tratta di persone con […] delle esigenze sessuali che non sono in grado di gestire».
Come dicono nel loro sito ‘LOVEGIVER’: –L’operatore definito del “benessere sessuale” non concentrerà esclusivamente l’attenzione sul semplice processo “meccanico” della sessualità.–
L’assistenza sessuale è quindi diversa dalla prostituzione vera e propria, sotterranea, clandestina, in cui non si guarda se il cliente sta bene, in cui si va a tempo. Qui invece si cura l’ambiente, il tempo che ci si dedica a vicenda, si parla con la persona che si ha di fronte.
Scardinare l’idea per cui un disabile ha anche una sfera sessuale è una missione difficile. Scuote l’etica di una società e le impone di porsi domande.
Stiamo togliendo le barriere architettoniche per i disabili e nel farlo ci stiamo mettendo tempo. Per quelle mentali invece? Di quanto tempo avremo bisogno?
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