Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa caratterizzata da un disturbo progressivo e cronico: si stima che le persone affette da Parkinson in Italia siano 230.000 (fonte: Ministero della Salute).
La patologia
Secondo quanto riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale, la genesi di questa patologia deriva da un deficit di dopamina, un importantissimo neurotrasmettitore che agisce al livello dei gangli della base.
In condizioni fisiologiche la dopamina esercita la sua funzione andando a ridurre l’inibizione esercitata dai gangli della base e facilitando la propagazione dello stimolo, con la risultante di un movimento fluido.
La progressiva degenerazione della substantia nigra, particolare formazione nervosa tra diencefalo e mesencefalo deputata alla produzione di dopamina, porterebbe ad una diminuzione di questo neurotrasmettitore tale da aumentare l’inibizione, indurre un progressivo deficit nella trasmissione dello stimolo motorio e di permettere l’instaurarsi della caratteristica triade sintomatologica: tremore, rigidità e bradicinesia.

Lo studio
Una nuova ricerca pubblicata su Neuron però, mette in discussione ciò che per più di 30 anni è stato ritenuto principio patogenetico fondamentale del morbo di Parkinson.
Avvalendosi di nuovissime tecniche, il team di ricercatori della Korea Advanced Institute of Science & Technology, a Daejeon (Corea del Sud), pone le basi per quello che a tutti gli effetti potrebbe essere un paradigm shift in ambito neurologico.
Sebbene i risultati siano abbastanza promettenti, il condizionale è d’obbligo: i risultati sono stati ottenuti da cavie murine, e la tecnica utilizzata – l’optogenetica – fa parte di un ramo scientifico di recenti natali.
La tecnica utilizzata
Per ottenere questi risultati, i ricercatori si sono avvalsi di tecniche optogenetiche.
L’optogenetica, per i non classicisti, è una scienza che fonde due branche scientifiche: la genetica e l’ottica.
L’obiettivo principale di questa scienza è quello di mappare sistemi neuronali utilizzando neuroni bioingegnerizzati per attivarsi in risposta a degli stimoli luminosi, attraverso l’integrazione sulla loro membrana di una proteina sensibile alla luce (un’opsina).
Attraverso uno stimolo luminoso della frequenza corretta, l’opsina subisce una modifica conformazionale che porta all’apertura del canale o all’attivazione della pompa, alla depolarizzazione delle cellule o all’iperpolarizzazione, all’attivazione o all’inibizione neuronale.
Grazie all’optogenetica è quindi possibile attivare una specifica zona neuronale e seguire la propagazione dello stimolo per, appunto, mappare le connessioni che lì avvengono.
Per chi volesse approfondire sull’optogenetica, può trovare qui del materiale.
I risultati
Utilizzando l’optogenetica e cavie murine, i ricercatori hanno aumentato la risposta inibitoria a livello dei gangli della base.
A seguito dell’aumentata inibizione, con grande sorpresa, hanno notato un’ipereccitazione dei neuroni del nucleo talamico ventrolaterale, un particolare tipo di neuroni deputati al controllo motorio. L’iperattività di questo nucleo talamico sembra causare, nella cavia, discinesia e tremori: sintomi tipici di morbo di Parkinson.
Il meccanismo, che i ricercatori hanno definito “sparo di rimbalzo” (“rebound firing”), sembra essere causato dai neuroni di questo nucleo talamico; ha inoltre la particolarità di aumentare la sua attività quando viene aumentata l’inibizione al livello dei nuclei della base e, viceversa, diminuirla venendo meno l’inibizione.

Per capire quale fosse il ruolo di questo meccanismo, i ricercatori hanno creato cavie murine bioingegnerizzate al livello del nucleo ventrolaterale talamico per attivare/inibire i neuroni e deficitarie per il neurotrasmettitore.
Sorprendentemente, attivando con l’optogenetica l’inibizione dei neuroni ventrolaterali talamici (che non potevano, quindi, esercitare lo “sparo di rimbalzo”) le cavie non presentavano il pattern sintomatologico tipico della malattia di Parkinson, nonostante il deficit di dopamina.
Si apre così una nuova teoria sul meccanismo d’insorgenza di questa malattia neurodegenerativa che pone l’attenzione non più sulla dopamina ma sui neuroni del nucleo talamico ventrolaterale.
Se i risultati di questo studio verranno confermati, potranno essere sviluppate terapie non più basate sulla dopamina o sulla L-Dopa (un precursore del neurotrasmettitore) ma mirate a modulare questo meccanismo di rebound firing.
Fonte|
Inhibitory Basal Ganglia Inputs Induce Excitatory Motor Signals in the Thalamusna