Un personaggio in cerca d’autore

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I reparti degli ospedali sembrano fatti apposta per ambientarci una storia.

Stanno lì con le loro regole, i corridoi, le stanze, percorsi da soggetti che, quando li incontri, è così naturale immaginarseli dentro un libro che quasi vorresti controllare siano reali. Io, non lo nego, impazzisco per i personaggi da racconto. Stanno sia da un lato che dall’altro, hanno il camice o sono sdraiati con una flebo attaccata, però li noti subito e mentalmente li appunti, perché sono meravigliosi.

Purtroppo la mia memoria ne ha persi qualcuno per strada, di quelli che avrebbero fatto degna compagnia alla caposala alta un metro scarso che sbraita come la Regina di Cuori in Alice nel paese delle meraviglie con la voce di Luciana Litizzetto, al medico che tra una visita e l’altra scrive piccole poesie in greco antico o all’enorme capo carovana dalla tosse umida che impartiva ordini alla moltitudine di parenti intorno al letto, ritti con sguardo basso.

Di uno però vi vorrei raccontare: non si chiamava, e sapeva cose.

Era gennaio durante il tirocinio nel reparto di psichiatria e, basiti, io ed Emiliano stavamo ascoltando la discussione tra i medici sui casi presenti in reparto prima del giro visite. Da chi sentiva una selva voci che le imponevano di farla finita a quello che era entrato con un TSO per aver menato tutta la famiglia dopo che a cena un bicchiere si era sbeccato. “Perché i bicchieri non si devono rompere.” aveva poi spiegato. L’inquietudine si stava impossessando di noi.

Poi intorno al tavolo ci fu un momento di silenzio.

“E poi c’è lui” sbottò la nostra tutor di quel giorno, aggiustandosi sul naso gli occhiali.

“Nessuna novità” sospirò un medico dal capello lungo e brizzolato. Tamburellava le dita su una cartella con scritto “Sconosciuto” al posto del nome.

La cartella apparteneva a un uomo che era stato trovato in maniche di camicia, di notte, in un parco a dicembre. Essendo l’orario di chiusura, i custodi lo avevano invitato a uscire ma lui irremovibile pretendeva di essere portato dalla polizia, e questi forse per evitare scocciature lo accontentarono. Questo strano figuro, alto e magro, con i capelli biondi e il naso adunco che parlava inglese, francese e una qualche strana lingua nordica, non contento di essere stato condotto in questura volle parlare con colui che comandava in zona e, accontentato di nuovo, espresse un ulteriore desiderio:

Voleva parlare con l’ambasciata americana. “Because I know things.”

Ora il passaggio in reparto fu abbastanza scontato credo, ma portato qui non scucì una parola su chi fosse, da dove venisse o simili, continuando a chiedere udienza all’Ambasciatore USA. Ad altre domande rispondeva con un laconico “It’s not a good time for answers”.

Ovviamente chiedemmo se qualcuno si fosse presentato in giacca e cravatta fingendo di essere chi lui voleva, ma lo specializzando ci disse che l’etica, purtroppo, proibisce questi raggiri. A quel punto, l’unica cosa che erano riusciti a capire era che venisse da un paese scandinavo e quindi sarebbe stato necessario avere l’ok dell’Interpol per interpellare i vari paesi con foto del suddetto e didascalia “avete perso questo tizio? Se sì lo abbiamo noi”. Perché se questo stava fingendo, per esempio per scappare da dei creditori, ed era un cittadino europeo, l’ospedale sarebbe andato nelle grane per questioni di privacy o simili, almeno così ci fu detto.

Ma i tempi burocratici sono famosi per essere biblici e così da un mese il sig. Sconosciuto se ne stava in villeggiatura nel reparto di psichiatria.

Ho chiesto ad altri miei compagni che hanno fatto tirocinio dopo di me se le ricerche avevano dato frutto o se aveva deciso poi di parlare, ma nessuno sa molto più se non che a un certo punto è stato trasferito a destinazione ignota. Nessun medico da lì può più dirci nulla.

E’ da due anni che mi chiedo cosa diavolo fossero quelle “cose” che sapeva, o cosa avrebbe fatto se fosse stato portato dall’Ambasciatore degli States. Magari era un ex agente CIA, magari era un clochard di Svendborg che non si sa bene perché finì a Modena, magari non era nordico e in realtà veniva da Castelnuovo in Garfagnana.

Ciò non toglie il sospetto che ci sia un collegamento tra Sconosciuto e l’elezione di Trump. A breve una puntata di Voyager.

Francesco Giaroni
Nato nel 1992, laureato in Medicina e Chirurgia all'Università di Modena e Reggio Emilia nel 2017, ancora non se ne capacita e dice che da grande farà l'archeologo. Estimatore di Jorge Luis Borges e della FIAT Multipla, attualmente cerca di districarsi tra glomerulonefriti e iperpotassiemie con scarsi risultati. Ha pubblicato un libercolo di racconti brevi dal titolo "Io, Ernesto e gli altri."