L’assenza di gravità modifica il cervello degli astronauti

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“Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini.” – Jurij Gagarin

 

Una nuova ricerca ad opera del neuroradiologo Donna Roberts punta a fare luce sulle conseguenze che l’assenza di gravità potrebbe portare avere a lungo termine sul cervello umano.

Microgravità ed effetti sul corpo umano

Nello spazio gli astronauti vengono a trovarsi in una situazione di microgravità, cioè la forza di gravità diventa così debole da risultare assente.

I primi fenomeni a cui va incontro l’uomo, trascorso il primo paio di ore in assenza di peso, vanno sotto il nome di Sindrome da Adattamento allo Spazio o SAS, più comunemente denominata mal di spazio. I sintomi comprendono nausea, cefalea, letargia, vomito e malessere diffuso e circa il 45% delle persone che si è trovata in assenza di gravità ne ha sofferto. La durata del mal di spazio varia, ma in nessun caso supera le 72 ore.

Gli effetti più significativi di una protratta assenza di peso sono l’atrofia muscolare e il deterioramento dello scheletro, noto anche come osteopenia da spazio: questi effetti possono essere minimizzati con l’esercizio fisico. Altri effetti significativi comprendono la ridistribuzione dei fluidi, il rallentamento del sistema cardiovascolare, una ridotta produzione di globuli rossi, disfunzioni dell’equilibrio e un indebolimento del sistema immunitario. Questi effetti sono reversibili una volta tornati sulla Terra.

Molte delle condizioni causate dall’esposizione all’assenza di peso sono simili a quelle risultanti dall’invecchiamento.

La microgravità ha effetti anche sul cervello, con una sindrome che provoca edema del disco ottico ed elevata pressione intracranica negli astronauti che tornano dalla Stazione Spaziale Internazionale. La National Aeronautics and Space Administration (NASA) ha coniato il termine sindrome da disturbo visivo e pressione intracranica [VIIP] per descrivere questa costellazione di segni e sintomi. Tuttavia la causa della sindrome e le relative modifiche nella struttura del cervello non sono ancora state studiate in modo estensivo.

LO STUDIO

In passato, sono stati svolti vari studi su persone mantenute a lungo in una posizione di inclinazione verso il basso, un analogo terrestre della microgravità. Mantenere questa posizione per un lungo periodo di tempo ha portato ad uno spostamento cerebrale verso l’alto e posteriormente, all’aumento della densità del tessuto cerebrale al vertice, alla contrazione degli spazi di liquido cerebrospinale (CSF) adiacenti e ad un aumento del volume ventricolare.

Dal momento che la sindrome VIIP si è verificata quasi esclusivamente negli astronauti dopo missioni di lunga durata, è stata utilizzata la risonanza magnetica per valutare lo spostamento del cervello, il volume ventricolare e le modifiche negli spazi del liquor di diciotto astronauti prima e dopo le missioni di lunga durata (soggiorni presso la Stazione Spaziale Internazionale [ISS]), confrontandoli poi con immagini ottenute da sedici astronauti prima e dopo missioni di breve durata (programma Space Shuttle).

Per mettere in evidenza le modificazioni cerebrali avvenute tra prima e dopo il viaggio sono stati creati dei video con le immagini in rapida sequenza. [ Immagini MRI ]

RISULTATI

La riduzione del solco centrale si è verificata in diciassette dei diciotto astronauti dopo lunghi voli (tempo medio di volo, 164,8 giorni) e in tre dei sedici astronauti dopo voli di breve durata (tempo medio di volo, 13,6 giorni).

Inoltre, le clip di un sottogruppo di astronauti hanno mostrato uno spostamento verso l’alto del cervello dopo tutti i voli a lungo termine, ma non dopo voli a breve durata, ed il restringimento degli spazi liquorali al vertice dopo tutti i voli a lunga durata e solo in uno di sei astronauti dopo voli di breve durata. Tre astronauti nel gruppo a lunga durata hanno avuto edema del disco ottico e tutti e tre hanno presentato una restrizione del sulcus centrale.

CONCLUSIONI

La riduzione del solco centrale, lo spostamento verso l’alto del cervello e il restringimento degli spazi liquorali al vertice si sono verificati frequentemente e prevalentemente negli astronauti dopo lunghi periodi di volo.

Ulteriori indagini, tra cui ripetute scansioni post-flight effettuate dopo un certo tempo sulla Terra, saranno necessarie per determinare la durata e il significato clinico di tali modifiche.

Per ora ci sono solo spiegazioni sul piano teorico, scientificamente parlando non c’è una spiegazione dell’esatta natura dei cambiamenti. Lo studio da una parte sarà utile alla valutazione dei rischi delle missioni spaziali, dall’altra potrebbe essere un elemento importante per comprendere i problemi che insorgono in certe condizioni di salute, per esempio nelle persone costrette a una lunga degenza a letto, o nelle persone affette da idrocefalo normoteso.

Fonti | Articolo 1Articolo 2

 

Matteo Ferrari
Sono un Junior Doctor all'University Hospital of Southampton, laureato all'università di Bologna. Ho un particolare interesse in Anestesia e Rianimazione.