Interfacce neurali
Se apriamo Google e cerchiamo “interfacce neurali”, il primo risultato ci porterà ad una pagina di Wikipedia. Al suo interno scopriremo che, queste interfacce, sono strumenti di comunicazione tra il cervello (più in generale, il sistema nervoso centrale) ed un dispositivo esterno quale, per esempio, un computer.
Esistono interfacce neurali di due tipologie: le mono-direzionali e le bi-direzionali. La differenza dipende dal flusso delle informazioni che queste interfacce generano. Infatti, mentre nelle mono-direzionali il flusso di informazioni viaggia da cervello a periferia in senso unico, nelle bi-direzionali la macchina è in grado di inviare informazioni retrograde al cervello.
Applicazioni
Sistemi del genere sono già in uso nel settore medico, per esempio possiamo prendere l’impianto cocleare, utilissimo dispositivo protesico in grado di restituire l’udito a individui menomati stimolando direttamente il nervo uditivo, oppure dispositivi impiantabili per tentare, attraverso la Deep Brain Stimulation, di controllare le crisi epilettiche o trattare i sintomi del Parkinson.
Ovviamente, con l’evoluzione della tecnologia informatica, della robotica e delle nanotecnologie, le potenzialità di questi strumenti si sono moltiplicate, e ad oggi sono state realizzate sedie a rotelle comandate da stimoli nervosi ed arti protesici controllati dal cervello.
L’investimento di Elon Musk
Il quadro sembra quindi essere estremamente incoraggiante, specie se all’insieme aggiungiamo che imprenditori come Elon Musk, CEO di Tesla e Space-X, stanno investendo centinaia di milioni di dollari per avviare start-up proprio finalizzate a sviluppare interfacce neurali sempre più sofisticate, con l’obiettivo ultimo, più volte rimarcato dallo stesso Musk in numerose interviste, di realizzare impianti cerebrali per persone sane (quindi non affette da patologie del sistema nervoso centrale) in grado di potenziarne le funzioni cerebrali.
Controllare computer, scaricare informazioni da essi, integrare il cervello alla macchina. Questo è il sogno di cui stiamo parlando. La parola sogno, tuttavia, non è enfatica ma semplicemente necessaria.
Se da un lato Musk e gli altri imprenditori della Silicon Valley promettono orizzonti temporali dell’ordine dei vent’anni, a medici e ricercatori direttamente coinvolti questa previsione appare come “eccessivamente ottimista”. Infatti, la tecnologia sopracitata sta facendo balzi da gigante, la nostra conoscenza del sistema nervoso centrale, dei suoi meccanismi, di come origina il pensiero umano e di come esso sia strutturato, è ancora troppo frammentaria per poter auspicare la realizzazione di sistemi, addirittura impiantati con metodi invasi, in grado di dialogare bi-direzionalmente con protesi o dispositivi elettronici esterni.
Capiamo bene quindi che il sogno di Mr. Tesla è destinato a rinviarsi ancora di molti e molti anni, necessita di molte più conoscenze dei meccanismi con cui lavora il nostro cervello e dovrà attraversare ancora una lunga strada per prendere forma.
Risvolti clinici
Le titubanze del mondo scientifico non si limitano a questo poiché, quando parliamo di “impiantare” un dispositivo a livello del sistema nervoso centrale, stiamo parlando dell’esecuzione di un intervento di neurochirurgia.
Tali interventi possono avere diverse complicanze, come infezioni, emorragie, fino anche alla morte del paziente. Sono rischi che si possono correre in pazienti con forte indicazione: con patologie risolvibili solo con approccio chirurgico, dove il beneficio supera auspicabilmente il rischio legato all’intervento.
Progetti e conclusioni
Quello che invece risulta fattibile nella realtà del breve-medio periodo, dichiarato negli intenti di un’altra neonata start-up americana quale Kernel, consiste nella realizzazione di device per il trattamento di malattie quali Alzheimer ed Ictus, con prezzi accessibili a tutti. Il fine ultimo sarebbe di sfruttare questi dispositivi per curare, e nel frattempo acquisire una enorme mole di dati sul funzionamento del cervello umano.
Insomma, la partita è ancora tutta da giocare e, per ora, potremmo dire di essere difronte allo schieramento delle pedine. Dove porterà questa nuova corsa alla comprensione del sistema nervoso centrale e la sua integrazione con la tecnologia e la robotica, ancora non è dato sapere, ma ci auspichiamo che sia un catalizzatore per nuove scoperte e nuovi dispositivi in grado di migliorare la qualità di vita di pazienti che, ad oggi, hanno a disposizione poche e poco efficaci opzioni terapeutiche.
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