Da una ricerca francese pubblicata su PNAS (Proceeding of the National Academy of Sciences of USA) sarebbe emerso che l’uso prolungato e ad alto dosaggio di ibuprofene comporterebbe una minaccia alla fertilità nei maschi adulti.
Sotto accusa un farmaco di conclamata affidabilità e dall’ampio profilo di sicurezza. Ma quanto è opportuno allarmarsi?
La notizia
Gli annali della farmacologia custodiscono copiose quantità di debacle, più o meno eclatanti di terapie ampiamente sfruttate e solo poi svelatesi più dannose che benefiche. Fra tutti, viene in mente il caso del racemo della talidomide associato a teratogenicità nei bambini di mamme trattate con questo sedativo-antiemetico.
Una pagina tragicamente buia della farmacologia, ma che altresì ha costituito un repentino cambio di passo verso la nascita della farmacovigilanza e, più in generale, un perfezionamento dei controlli e degli studi clinici. E ad oggi, sebbene i due eventi non siano nemmeno lontanamente paragonabili (fortunatamente), sembrerebbe vacillare la sicurezza di un antinfiammatorio largamente sfruttato per disparate condizioni.
Nel dettaglio, l’attenzione dei ricercatori dell’Inserm si è focalizzata sugli effetti dell’ibuprofene sull’uomo adulto, le cui conoscenze sono pressoché nulle. In effetti l’unica conoscenza certa risale a qualche tempo fa, quando fu capito che l’uso di analgesici durante la gestazione è associabile ad effetti antiandrogeni e malformazioni congenite.
Da questa ricerca per la prima volta gli studiosi concludono che l’uso prolungato di ibuprofene (6 settimane, per la precisione), al dosaggio quotidiano di 1,2 g, potrebbe evolvere in ipogonadismo compensato.
L’ipogonadismo compensato e lo studio francese
L’ipogonadismo compensato o subclinico a cui accenna lo studio, classicamente si identifica in normali livelli di testosterone nel sangue, associati ad un incremento dell’ormone luteinizzante (LH), secreto dall’adenoipofisi e preposto al controllo della funzionalità gonadica. In generale, tale condizione ha il potenziale di evolvere in una riduzione della secrezione di testosterone, ma altresì potrebbe risolversi spontaneamente.
Ebbene, la ricerca in vivo ha coinvolto 31 adulti in salute, di età compresa fra i 18 e i 35 anni, di cui alcuni (17) sottoposti a trattamento con placebo e altri (14) con ibuprofene. Successivamente sono stati monitorati i livelli di testosterone totale e di LH (che nel maschio regola la produzione del testosterone a livello delle cellule di Leydig).
Mentre il testosterone è rimasto invariato, dopo 14 giorni di somministrazione si è riscontrato un innalzamento dei livelli di LH nel 23% dei pazienti trattati con il fans, con ulteriore incremento al 33% dopo 44 giorni.
In aggiunta, è stato calcolato dopo 44 giorni il rapporto testosterone libero ematico/LH riscontrando una flessione del 23% del gruppo trattato con ibuprofene a paragone con il gruppo placebo.
Tali risultati hanno indotto il team francese ad ipotizzare che l’ibuprofene intervenga in qualche modo sulle cellule di Leydig innescando il meccanismo dell’ipogonadismo compensato: si assiste ad una prima riduzione di testosterone, compensata dall’aumento della secrezione di LH per ristabilire le condizioni fisiologiche.
Il dibattito scientifico
Se sui media la notizia è stata accolta con l’atteso fervore, scatenando anche in parte quell’allarmismo tipico solo della divulgazione immediata e frammentata dei giorni nostri, parte della comunità scientifica ha reagito con maggiore scetticismo.
Dallo studio infatti emergerebbero diverse lacune, prima fra tutte il temuto ipogonadismo compensato che di fatto ha un ruolo largamente minoritario quale causa di infertilità maschile. Ruolo che di conseguenza non risulta sufficiente a giustificare l’associazione infertilità maschile-ibuprofene proposta dallo studio, oltre ad essere difficilmente riscontrabile nelle prescrizioni comuni la posologia in esame – 1200 mg/dì per 6 settimane.
A queste opinioni largamente condivise si aggiunge la voce del farmacologo Diego Fornasari, il quale in un’appassionante intervista su Pharmastar ricorda che l’inibizione delle ciclossigenasi da parte del’’ibuprofene è decisamente più blanda degli altri composti della stessa famiglia.
A rigor di logica ciò significherebbe che il presunto effetto di repressione sulle gonadi da parte dell’ibuprofene, potrebbe essere di gran lunga minore di quello arrecato di altri antinfiammatori non steroidei. Il che richiederebbe perlomeno una revisione globale dei protocolli terapeutici a base di FANS.
Tali controversie sono sacrosante prima ancora che interessanti, tuttavia non screditano l’utilità dello studio preso in esame, che si costituisce primo tassello di ricerca ad una classe di farmaci così ampiamente diffusi ed il cui indispensabile impiego suggerisce una necessaria e quanto più approfondita conoscenza.
Fonti| Articolo originale; Diego Fornasari a Pharmastar