É gennaio 2018 e sulla rivista Transgender Health viene pubblicato un case report che in letteratura scientifica non trova simili
Una donna di 30 anni (nata uomo) a seguito di un trattamento sperimentale al quale ha scelto di sottoporsi ha potuto allattare suo figlio, avuto dalla sua compagna.
La paziente, la terapia, l’allattamento
La donna protagonista della notizia ha 30 anni, non ha fino ad ora subito interventi chirurgici affermativi di genere come l’aumento del seno, l’orchiectomia o la vaginoplastica.
In terapia da anni con terapie ormonali femminilizzanti si è affidata al “Center for Transgender Medicine and Surgery del Mount Sinai Hospital” di New York. Qui per un periodo di circa tre mesi ha seguito un regime terapeutico a base di ormoni affiancato, come si legge, dall’uso di un farmaco antiemetico (domperidone) e un semplice tiralatte.
Il Domperidone essendo un antagonista dei recettori dopaminergici favorisce la secrezione ipofisaria di Prolattina, con conseguenti effetti quali ginecomastia nell’uomo e galattorrea nelle donne.
La terapia non è una novità assoluta, rientra infatti nel protocollo terapeutico definito “lattazione indotta non puerperale” usata anche nelle donne non trans, ma è proprio questo il dato nuovo e sorprendente: questa volta è una paziente trans ad averne beneficiato e a quanto pare anche con ottimi risultati.
Già alla prima visita dopo 1 mese dall’inizio della sperimentazione la donna è stata in grado di produrre goccioline di latte. Nelle settimane successive i diversi dosaggi sia di Domperidone che di estradiolo e progesterone sono stati modificati.
Dopo i tre mesi di terapia la paziente ha iniziato a produrre un quantitativo di latte stabile di circa 227 grammi al giorno, sufficienti al nutrimento del bambino in modo continuativo per almeno sei settimane.
In questo lasso di tempo il bambino è stato frequentemente sottoposto a numerosi esami e controlli dai quali è emersa l’evidente crescita regolare del piccolo.
Il dibattito
In passato un tema molto simile è stato oggetto di discussione, si trattava però in tali occasioni di trans nati donne e non il contrario.
Nell’articolo, molta rilevanza ha un dato: “il latte non è stato valutato”.
Questo assume un duplice significato: da una parte non è stata valutata la composizione del latte e la presenza in proporzione dei suoi vari componenti (proteine, acqua, grassi, carboidrati e minerali), dall’altra la valutazione mancante è quella sugli effetti a lungo termine –impossibile da fare adesso- e che impedisce di rendere la terapia una pratica “raccomandabile“.
Nello specifico i dubbi riguardano il corretto e completo sviluppo del Sistema Immunitario, cognitivo (valutabile ad esempio con un QI) e metabolico su cui il latte materno ha implicazioni molto ampie.
L’allattamento al seno è noto infatti che offra benefici immunologici, metabolici e psicosociali sia per la madre che per il bambino.
Non a caso infatti i bambini nutriti con formule artificiali presentano un rischio maggiore di infezione da alcuni virus, otite media, ospedalizzazione per infezioni del tratto respiratorio inferiore, sindrome della morte infantile improvvisa, enterocolite necrotizzante, asma e obesità infantile rispetto ai loro coetanei allattati al seno, così come lo stesso articolo ricorda.
Molte anche le polemiche sorte riguardo al Domperidone e all’avvertimento fatto nel 2004 dalla Food and Drug Administration contro il suo utilizzo per i numerosi rischi ad esso connessi.
Non manca poi il dibattito etico che sempre in questioni del genere si apre.
Ma Madre Natura cosa penserebbe? Questa probabilmente una delle tante riflessioni. Paura di maternità “snaturate” da una parte, eccitazione per maternità “conquistate” dall’altra.
O semplicemente un nuovo obiettivo raggiunto, da valutare con precauzione ma anche con intelligenza, come il tentativo di restituire a chi lo desidera ciò di cui – forse da Madre Natura –si sente privato.
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