Il diabete gestazionale rappresenta per la mamma un rischio di sviluppare malattie cardiovascolari: la conferma da uno studio canadese pubblicato su Acta diabetologica. Una casistica di oltre 1 milione di casi di cui si analizza lo stato di salute delle donne nei 25 anni successivi al parto. Similare, nello stesso periodo, l’approccio di uno studio israeliano, che dimostra come l’anemia dopo il parto costituisca un equivalente fattore di rischio. Due studi, questi, che potrebbero cambiare la gestione di donne con tali caratteristiche per minimizzarne gli effetti nel lungo termine.
Due complicanze insidiose
L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) definisce il diabete gestazionale come il riscontro di un elevato livello di glucosio circolante per la prima volta in gravidanza. L’incapacità di metabolizzare i carboidrati viene favorita, in questo peculiare periodo, da sostanze prodotte dalla placenta.
Nel breve termine, questa condizione comporta un maggior rischio di macrosomia (feto sopra ai 4 kg), difficoltà nel parto, parto pretermine, preeclampsia nella mamma ed ipoglicemia nel neonato.
Sebbene il diabete gestazionale, presente in Italia nel 4% delle gestanti, si risolva in seguito al parto nella maggior parte delle donne, vi è comunque un successivo maggior rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2 e sindrome metabolica, entrambi correlati ad un danno alle pareti dei vasi sanguigni noto come aterosclerosi.
L’anemia si definisce, invece, con valori di emoglobina, la proteina deputata al trasporto dell’ossigeno nel sangue, inferiori a 10 mg/dL. Nel post-partum, questa può essere dovuta ad una carenza di ferro (di cui l’emoglobina è composta) sviluppata durante la gravidanza, oppure ad una perdita eccessiva di sangue avvenuta al parto o nel periodo immediatamente successivo.
Tale stato è stato correlato all’insorgenza di deficit attentivi, irritabilità, depressione post-partum nonchè sviluppo nel lungo termine di aterosclerosi a livello dei vasi sanguigni.
Gli studi
Che il diabete in gravidanza potesse avere un’influenza nello sviluppo di patologie cardiovascolari era stato supposto già da tempo in letteratura, benché studi precedenti non fossero riusciti a dimostrarne la correlazione clinica. Infatti il tempo di osservazione utilizzato di 10 anni dal parto era troppo breve perché se ne manifestassero gli effetti.
Riguardo l’anemia, nel 2014 uno studio guidato da Azulay aveva già riportato un maggior rischio di sviluppare problematiche cardiovascolari in un lasso di tempo di dieci anni dopo la gravidanza in donne che fossero risultate anemiche in questo periodo senza analizzarne lo stato nel post-partum.
Entrambi gli studi presi in esame coprono, invece, un lasso di tempo di 25 anni. Nello studio condotto in Quebec-Canada, di 1.070.667 pazienti, 190.8 su 1000 donne con diabete gestazionale contro le 117.8/1000 senza questa complicanza hanno sviluppato problematiche cardiache a partire dall’ottavo anno dopo il parto, riportando un maggior rischio di ospedalizzazione per complicanze cardiovascolari, infarto del miocardio e angioplastica coronaria di 1,7 , 2,14 e 2,23 volte rispettivamente.
Lo studio israeliano invece analizza 80.442 pazienti dimostrando che quelle con emoglobina inferiore a 10 g/dL in prima giornata dopo il parto, hanno necessitato di più ospedalizzazioni correlate all’aterosclerosi e ad eventi cardiovascolari sia maggiori che minori.
Prospettive future
Prevenire è meglio che curare. Donne che abbiano sviluppato il diabete in gravidanza o che siano risultate anemiche nei controlli post-partum dovranno essere seguite nel tempo, perché adottino uno stile di vita il più sano possibile che consenta loro di minimizzare il rischio futuro nonché si sottopongano a controlli periodici che permettano di ridurre e monitorare le patologie cardiovascolari cui risultano maggiormente esposte.