“Mi son messo a ridere e mi hanno sbattuto in manicomio”

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“Io sono Matto. Per questo posso fare tutto quello che voglio. Posso pure cagare per terra. Su questo pavimento così lucido.”

Era il 1978 quando veniva promulgata la legge 180. Sono passati 40 anni ma ancora è difficile parlare di cosa ci fosse dietro il portone di quelli che con questa legge venivano chiusi, gli Ospedali Psichiatrici meglio noti come Manicomi.

Saranno ricordati come la scenografia di una delle più brutali barbarie fatte dall’uomo ad altri uomini, una pagina scura che con difficoltà e mestizia impietosita nessuno vuole mai risfogliare.

Novantuno ne erano stati costruiti solo in Italia e raccoglievano in quegli anni più di 170 mila persone.

C’era una volta…

C’era una volta il manicomio, Istituto per individui asociali, Ospedale dei Pazzi, Città dei matti. Strutture nella maggior parte dei casi fortificate, isolate, ben vigilate. La nascita ufficiale possiamo ricondurla al 1792 , in Francia, quando il dottor Philippe Pinel decide di aprire le porte della casa di reclusione in cui lavora e trasformarla in un ospedale in cui trattenere i ‘’malati di mente’’. D’altronde, il presupposto materiale per una società borghese come quella della Francia Rivoluzionaria non poteva eludere dall’emarginazione dei soggetti ‘’poco utili’’, così come il presupposto del buon gusto non poteva eludere dall’emarginazione dei soggetti pericolosi, strani, scandalosi, sporchi o ritenuti tali.
Come realtà, quella del manicomio attraversa poi tutto l’800 e ancora il ‘900. Cambiano i nomi, cambia il numero dei soggetti internati, ma non cambia l’idea del manicomio come un’isola lontana di cui nulla c’è da sapere, di cui nulla c’è da condannare, e grazie alla quale il mondo viene mantenuto più pulito, più ordinato e meno pericoloso.

Si trattava di strutture non solo per persone con evidenti Disturbi Mentali – per i quali comunque non era dignitosa come sistemazione e ipotetico percorso terapeutico – ma di strutture in cui andavano a finire prostitute, eretici, omosessuali, e non in ultimo dissidenti politici. I Manicomi erano il tombino di scarico di una società che non voleva permettersi alcun tipo di diversità e che preferiva dare ai “Matti” un mondo tutto loro, in cui passeggiare e respirare, con la promessa di fare però come se non esistessero.

In realtà, andava condannato tutto, le violenze, le umiliazioni, gli elettroshock. Andavano condannate le catene ai piedi e alle mani, le iniezioni di insulina per indurre il coma, le pasticche di Serenase e di Litio, le violenze sessuali, le camicie di forza, i cauteri alla nuca, le lobotomie, e andava condannata la disumanità, la perdita della dignità, il silenzio.

Andava condannata l’idea di lasciare alla Follia il suo spazio Vitale a compromesso che questo fosse tenuto fuori da quello dei “Normali”, quello Spazio Vitale in cui la “Signora Follia” regnava è che, invece, aveva bisogno di contaminarsi con lo spazio di tutti.

Negli anni ‘70 lo psichiatra Franco Basaglia si caricò di una battaglia tutt’altro che scontata e che prese forma il 13 Maggio di quarant’anni fa con una Legge che apriva la strada alla chiusura dei Manicomi, e che designava i servizi territoriali come luoghi di cura. Battaglia che nel corso degli anni si è arricchita e articolata grazie ad altre leggi come la 9 del 2012 e la 81 del 2014 con cui si è sancita la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) , provvedimento che ha visto il suo completamento nel 2017 con la chiusura di tutti i 6 OPG italiani. Al loro posto oggi funzionano le Residenze per le Misure di sicurezza, strutture con non più di 20 posti letto e in cui viene riservata assistenza e dignità a ogni residente. Rimangono, purtroppo, numerose le criticità: per esempio, in tutta Italia vengono riservati solo 325 posti letto alla Neuropsichiatria Infantile e mancano almeno 10 mila unità di operatori in strutture adibite alla Salute Mentale. Evidenze queste che sottolineano come con la chiusura dei Manicomi non è stata restituita ai pazienti Psichiatrici la stessa dignità di qualsiasi altro paziente e ancor prima di qualsiasi altro uomo. I fondi per progetti a questi temi dedicati e per l’assunzione di personal in questi ambienti rimangono carenti, una triste constatazione questa nonostante i progressi e gli anni trascorsi nell’impegno di cambiare il volto della Malattia psichiatrica in Italia.

La Salute Mentale e i suoi tabù

Mentre si parla di tutto il resto, tumori, epidemie, intolleranze e persino di droghe, bullismo, disabilità fisiche con una relativa facilità, parlare di Salute Mentale rimane un tabù ancora oggi. Anche se i Manicomi hanno chiuso le loro porte, questo rimane un ambito in cui pregiudizi e cattive riserve hanno ancora uno spazio sufficiente a contaminare la possibilità concreta di fare qualcosa.
La salute mentale non è meno fragile di quella fisica, né meno importante, né meno pericolosa. Soprattutto però non è meno “curabile”. Esistono professionisti in grado di prendersene cura come un buon cardiologo sa prendersi cura dell’ipertensione.
Esistono psichiatri e psicologi in grado di ricostruire gli equilibri perduti o di insegnare a viverci.
La salute mentale ha bisogno di un’attenzione particolare che necessita dello sguardo attento di tutti, a questo tema deve essere riconosciuto il peso di poter bucare i mass media, ha bisogno di diventare causa di dibattito pubblico, non si può più pensare che si tratti di un tema che a fatica si fa spazio tra professionisti ed esperti. Tutti dobbiamo occuparcene e a tutti devono essere dati gli strumenti per andare oltre l’intoccabile legge di ciò di cui si può e ciò di cui non si può parlare.

“Prima eravamo matti
adesso siamo malati,
quando saremo considerati uomini? “

 

FONTI: Centro di Igiene Mentale – Simone Cristicchi [Mondadori]; Articolo 1Museo della follia.

Antonella Moschillo
Nata ad Ariano Irpino (AV) il 12 Marzo 1996, frequento la facoltà di Medicina e Chirurgia presso "La Sapienza" a Roma dopo essermi diplomata presso il Liceo Classico "P.P.Parzanese" di Ariano Irpino.