I vaccini non sovraccaricano o compromettono il sistema immunitario del bambino: è quanto emerge da un recente studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association (JAMA).
Negli ultimi anni, negli ambienti in cui si nutre scetticismo nei confronti dei vaccini, si è sempre più fatta strada l’ipotesi secondo la quale, nei primi anni di vita, il numero di vaccini – e quindi di antigeni – ai quali il bambino viene esposto è troppo elevato.
Questa esposizione “massiva” (che massiva non è, anche solo considerando il numero astronomico di microrganismi con cui il neonato entra a contatto durante il parto) andrebbe a “sovraccaricare” il suo sistema immunitario, portandolo ad un maggior rischio per la sua salute.
La soluzione a questo problema, secondo gli stessi scettici, consisterebbe nel dilazionare la somministrazione delle dosi, aumentando così il lasso di tempo tra una dose e l’altra.
Per dare un’idea dell’impatto che questa teoria sta avendo, persino l’attuale Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, le ha dato un personale endorsement in conferenza stampa (video).
Non è, quindi, casuale la pubblicazione di questo studio che, sebbene non ponga la parola “fine” al dibattito sui vaccini, sicuramente fa chiarezza su un tema che nell’ultimo periodo è stato oggetto di disputa, arrivando addirittura ad essere tema di campagna elettorale.
Lo studio
Lo studio è un caso-controllo nidificato ed è stato eseguito negli Stati Uniti.
In questo studio, sono stati analizzati dati clinici e anamnestici di 944 bambini, nati tra il 1° gennaio 2003 e il 31 dicembre 2015.
I dati analizzati riguardavano:
- Somministrazione dei vaccini tra la nascita e il compimento del secondo anno di vita.
- Presenza o meno nella storia clinica, tra i 2 anni e i 4 anni, di visite o ricoveri per casi di malattie (alle vie respiratorie o al sistema gastroenterico) non prevenibili con le vaccinazioni.
I bambini, selezionati in base ai criteri della “International Classification of Diseases” (WHO), sono stati suddivisi in 193 casi (presenza nella storia clinica di infezioni tra i 24 e i 47 mesi) e 751 controlli (assenza nella storia clinica di infezioni tra i 24 e i 47 mesi).
L’obiettivo dello studio è stato stimare la quantità di antigeni vaccinali a cui sono stati esposti i bambini di entrambi i gruppi e capire se questa esposizione potesse essere in qualche modo responsabile dell’insorgenza delle malattie che si sono presentate nel gruppo dei “casi”.
I ricercatori hanno notato, andando a confrontare i dati, che la quantità di antigeni vaccinali a cui erano stati esposti i bambini appartenenti al gruppo dei “casi” era quasi del tutto identica (addirittura inferiore) alla quantità di antigeni a cui erano stati esposti i bambini appartenenti al gruppo dei “controlli”.
In conclusione, i risultati ottenuti hanno permesso di affermare che non v’è una differenza significativa, o una qualche compromissione, a seguito dell’esposizione agli antigeni vaccinali durante i primi due anni di vita.
Fonte| Articolo 1