Eutanasia e Depressione: spunti di riflessione

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“Cara Sofia […]

Negli ultimi dieci anni non sono stato più un uomo, negli ultimi dieci anni intorno a me era tutto buio. Ti auguro di non scoprire mai, bambina mia, cosa significhi voler morire e quanto sorridere possa far male.

Alcuni giorni, quando la bestia, che il dottore chiama Depressione, mi permette di alzarmi dal letto, mi capita di vedermi riflesso in qualche specchio, in qualche vetro. Fatico a riconoscermi. Dovrei accontentarmi di tutto quello che ho avuto dalla vita, questo mi sento dire. Come se non lo sapessi, come se non lo volessi. Io non lo so perché, non lo so proprio perché mi sia ritrovato in questo stato. Ho dimenticato tutto di me stesso, non è rimasto più niente. Quando arriva sera l’unico pensiero è quello di addormentarmi e non svegliarmi più, ma poi arriva l’alba, inesorabile, e mi trovo costretto a sopportare di vivere, se ancora di vita si può parlare, un’altra giornata. Apro gli occhi e con rassegnata disperazione costato di non essere morto.

È per questo che ho deciso che domattina non mi sveglierò più. […]”

E se quest’uomo avesse scelto l’eutanasia, voi da che parte stareste?

Il tema è complicato. I punti di vista sono molti, i fili da tenere in mano, contemporaneamente, troppi. Proviamo a mettere ordine in una questione così delicata quanto di difficile discussione.

Cosa accade all’estero

In molti paese europei quali Svizzera, Belgio, Lussemburgo, l’eutanasia -con modalità e criteri differenti- è legale. In Olanda per esempio è stata legalizzata nel 2002 e la si può applicare a ogni tipo di “sofferenze insostenibili e irreversibili”, incluse quelle da disturbi psichiatrici. Alcuni casi che hanno coinvolto pazienti psichiatrici in Olanda sono anche stati resi noti, come per esempio la storia della donna ventenne a cui è stata concessa l’eutanasia a seguito della riconosciuta insostenibilità da parte dei medici, dei sintomi derivanti dal Disturbo Post Traumatico da stress di cui soffriva.

Del Belgio, anche i nostri giornali ci hanno raccontato, nel 2015, la storia di Laura che a 24 anni è riuscita a ottenere pareri favorevoli da parte di tre medici -come necessario- per ricevere la morte volontaria assistita.

In Svizzera la questione è un po’ meno chiara, anche se la storia dell’ingegnere di Albavilla, Maurizio Brambilla, 62 anni, sembra raccontarci di una realtà in cui l’eutanasia venga concessa anche a pazienti psichiatrici, depressi in particolare, sebbene la legge pare non sia chiara in merito, ragion per cui la procura di Como ha aperto un’inchiesta.

Cosa accade in Italia

In Italia non c`è ancora una legge sull’eutanasia, da pochi mesi è stata approvata quella sul Testamento Biologico, mentre la proposta di iniziativa popolare depositata nel 2013 (firmata da oltre 70 mila persone) sulla legalizzazione dell’eutanasia è da anni in attesa di essere calendarizzata.

Qualora ciò avvenisse, l’eventuale decisione sul destinarla ai soli pazienti affetti da patologie fisiche o anche pazienti psichiatrici sarebbe affidata alla discussione delle camere. Tuttavia in Italia il dibattito è già stato aperto in più di un’occasione:

“Ho deciso, vado in Svizzera, il mio tempo è passato, non ho più niente da rivendicare, grazie di tutto…”

Lucio Magri, fondatore del Manifesto, decise di andare a morire in una clinica svizzera nel 2011 per sfuggire a una depressione che da quando la moglie Mara era morta, tre anni prima, era diventata una terribile morsa. Per definire quella morte, verso la quale aveva scelto di andare, Magri aveva usato l’espressione “una morte pulita”.

La questione etica

L’eutanasia, dolce morte, o morte opportuna -come la definiva Jacques Pohier- trascina dietro di sé da sempre, in Italia particolarmente, discussione e divisione; ciò è d’altronde in linea con la storia naturale di tutte la grandi battaglie etiche.

La discussione diventa però profondamente più controversa e difficile da affrontare se i  pazienti ai quali ci chiediamo se concedere o meno l’eutanasia sia giusto sono persone affette da Depressione.

Questo per più ragioni: prima su tutte è che la patologia in questione non riguarda il corpo ma la mente. Ciò costituisce il primo grande punto di dibattito.

La volontà di mettere fine alla propria vita e il diritto di poterlo fare trovano la loro naturale giustificazione nell’insostenibilità di una vita ormai difficile da ritenere tale, ma come stabiliamo i criteri di sostenibilità di una vita? In che misura una malattia psichiatrica può essere invalidante? Possiamo davvero ritenere che la sofferenza fisica sia meno sopportabile di quella mentale?

Nella frangia di popolazione favorevole all’Eutanasia si attribuisce questo diritto ai pazienti cosiddetti “terminali”, pazienti cioè affetti da patologie per cui non c’è alcuna possibilità di regressione e che trovano la loro conclusione nella morte del paziente. Possiamo dire lo stesso della Depressione? Si apre qui una questione che complica ulteriormente le cose.

Prima di tutto le linee guida dei paesi, tra loro, possono essere anche molto diverse, tendenzialmente i trattamenti di prima linea prevedono la somministrazione di farmaci antidepressivi accanto a un percorso di psicoterapia, tuttavia spesso anche dopo aver sperimentato l’uso di farmaci diversi o in combinazioni differenti i pazienti non riportano alcun giovamento. Nello specifico possiamo confermare che quasi il 30% dei pazienti con diagnosi di depressione maggiore non nota alcun miglioramento.

Potrebbe bastare per definire la Depressione una patologia non curabile? Pare di no, anzi la maggior parte degli esperti sono concordi nel dire il contrario. Rimane la domanda: quali sono le speranze per chi soffre di una Depressione resistente ai farmaci?  Come un circolo vizioso anche lo stesso termine “depressione maggiore resistente” apre a sua volta un corposo dibattito, acceso e controverso. La guida fornita dal The National Institute for Health and Care Excellence si mostra restìa all’uso di questo termine e indica, difronte a questi casi, di effettuare una rivalutazione della diagnosi e di prendere in considerazione eventuali patologie soggiacenti .

Se anche questi problemi non ci fossero la questione non sarebbe risolta, rimarrebbe infatti la più critica delle riflessioni: il diritto all’Eutanasia (parliamo di eutanasia non solo passiva ma anche attiva*) trova la sua stessa essenza nella libertà di decidere sulla propria vita, in virtù infatti di una volontaria scelta; si attribuisce al singolo la libertà di rifiutare l’inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari, nonché ogni tipo di trattamento di sostegno vitale e\o terapia nutrizonale, e\o di chiedere la somministrazione di un farmaco che conduca alla morte. Il comune denominatore è l’autodeterminazione, e cioè la volontà esplicitamente espressa dalla persona di porre fine alla propria vita. In che misura possiamo ritenere attendibile la volontà espressa da un paziente la cui patologia implica una distorsione delle opinioni?

Nella Madrid Declaration on Ethical Standards for Psychiatric Practice, alla voce Eutanasia si legge “la psichiatria dovrebbe essere consapevole che le opinioni di un paziente possono essere distorte da una malattia mentale come la depessione”, e nello stesso documento si dice “lo psichiatra, tra i cui pazienti vi sono alcuni che sono gravemente incapaci di prendere una decisione consapevole, dovrebbe prestare particolare cura alle azioni che potrebbero portare alla morte di coloro che non possono proteggersi a causa della loro disabilità ”.

Numeri importanti

Dunque come è evidente la matassa si aggroviglia mano a mano che dall’altro lato ci sembra districarla. E ancora si potrebbero discutere e aprire numerose altre criticità, noi ci fermiamo qui ma rimandiamo a chi legge, la riflessione su un tema tanto importante quanto attuale.

Non dimentichiamo i numeri (secondo la WHO) di questa realtà: soffrono di depressione più di 322 milioni di persone al mondo, numero che è aumentato del quasi 20% in soli 10 anni. Costituisce la seconda causa di morte tra i giovani nell’età fra 15 e 29 anni ed è stata la causa di circa 800.000 suicidi nel solo 2015.

Nell 2016 ben 50 italiani sono andati a morire in Svizzera e circa 90 italiani al mese si rivolgono all’associazione EXIT, il cui presidente, Emilio Coveri, ha dichiarato che ben il 2030% di questi sono affetti da patologie psichiche. Ogni anno in Svizzera il 3% delle motivazioni per il Suicidio Assistito è la Depressione.

Questi numeri hanno in sé l’urgenza di discutere di un problema che ogni giorno si fa più insistente. Non farlo ci espone al rischio di farci travolgere da questioni importanti senza avere il tempo di maturare una coscienza a riguardo; coscienza che ci permetterebbe, da cittadini, di viverle in modo più consapevole e deciso.

Queste premesse ci hanno spinto a dare inizio a questa rubrica, breve ma speriamo utile a tutti, in cui anche il parere di esperti, in ambiti diversi, ci darà spunti ulteriori di riflessione.

Le parole degli esperti

Il dottor Massimo Biondi, medico psichiatra e professore ordinario presso La Sapienza, nel contesto di un’intervista che sarà prossimamente pubblicata ha detto:

“Il punto discriminante in tutti i casi è la libertà di scegliere: il malato di malattia fisica grave o terminale può in alcuni casi operare una scelta e ragionare su di essa, può addurre le sue ragioni e discuterne. In altre parole è competente per decidere. Nell’Episodio di depressione maggiore grave la capacità di decidere, ragionare ‘liberamente’ può essere minata in grado variabile dalla depressione stessa che più di una malattia fisica colpisce funzioni cognitive e decisionali (tra i sintomi vi è la perdita di energia, di significato, di valore di sé e della vita).”

Gilberto Corbellini, direttore del Dipartimento di Scienze sociali, umane e patrimonio culturale del CNR, alla nostra Redazione ha dichiarato:

“Personalmente non riesco a cogliere alcuna differenza tra la condizione di malato terminale o di persona con una malattia degenerativa o causata da trauma che ha di fronte un’esistenza di mera sofferenza e dipendenza da macchine, e quella di una persona con depressione grave, refrattaria ai trattamenti. Anzi, i malati terminali comunque a breve moriranno, ma una persona persona depressa no. Per questo ricorre al suicidio, se ci riesce. Sono favore dell’eutanasia volontaria anche per le persone con disturbi mentali intrattabili. In Olanda, dove oltre cinquanta pazienti con disturbi mentali ottengono l’eutanasia ogni anno, il tema è stato discusso e studiato, arrivando alla conclusione che si tratta semplicemente di rispetto della libera scelta di queste persone, che sono quasi sempre assecondate in questa loro decisione dai parenti. Insomma, è sempre la stessa storia: chi nega il diritto all’eutanasia lo fa o per motivi religiosi e ideologici, o perché non ha la minima idea di cosa si provi a essere una malato terminale o con gravi lesioni neurologiche, o una persona gravemente depressa.”
E ancora nell’ambito di una Tavola Rotonda tenutasi presso l’Università La Sapienza:

Quando non funziona più nulla, nessun trattamento, sei resistente, allora secondo me è giusta l’eutanasia per una persona depressa. È come un tumore.

Marco Cappato, tesoriere dell’ Associazione Luca Coscioni, contattato dalla nostra Redazione ha commentato il dibattito in questo modo:

A mio avviso, la sofferenza psichica non dovrebbe essere esclusa a  priori dalle cause che – a determinate condizioni – possono consentire l’accesso all’eutanasia legale. Sarebbe però indispensabile definire protocolli molto rigorosi che consentano di selezionare soltanto casi comprovatamente incurabili e irreversibili, in un quadro di insofferenza insopportabile e di piena capacità di intendere e di volere. L’esperienza dei Paesi dove l’eutanasia è legale da molti anni, come il Belgio e i Paesi Bassi, può servire da esempio per ridurre al minimo il rischio di pratiche abusive.”

Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni, ha detto in proposito:

“E’ una questione molto delicata. Esistono condizioni incurabili, per le quali, purtroppo, non si può fare molto, se non sostenere la persona arrivata al termine del suo viaggio, lasciandola libera di scegliere come affrontare la conclusione della propria vita. Al contrario, altre patologie, sebbene severe, sono curabili, e devono essere gestite con grande attenzione da Istituzioni e medici. Tuttavia, generalizzare è impossibile: ogni caso va valutato singolarmente e non va sottovalutata la gravità di alcune forme di Depressione.”

In conclusione

Con la speranza che il lettore trovi stimolante questo spunto di riflessione e che questo possa accendere un dibattito costruttivo ed interessante. Pubblicheremo presto le interviste complete, per poter arricchire gli elementi a vostra disposizione e darvi gli strumenti per avere un’opinione al riguardo.

Scritto da Antonella Moschillo ed elaborato da Federica Bevilacqua

FONTI | Immagine in evidenza, epidemiologia WHO, Madrid Declaration on Ethical Standards for Psychiatric Practice, storia eutanasia e PTSD, la storia di Laura, la storia di Maurizio Brambilla, progetto di legge in Italia, la storia di Lucio Magri, guida The National Institute for Health and Care Excellence,

Antonella Moschillo
Nata ad Ariano Irpino (AV) il 12 Marzo 1996, frequento la facoltà di Medicina e Chirurgia presso "La Sapienza" a Roma dopo essermi diplomata presso il Liceo Classico "P.P.Parzanese" di Ariano Irpino.