Gli anticorpi monoclonali sono il futuro della lotta alle infezioni?

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Prodotti di un ingegnoso meccanismo di educazione e selezione, gli anticorpi giocano un ruolo fondamentale nella risposta alle infezioni. Lo stesso non si può dire del loro utilizzo come agenti terapeutici contro le malattie infettive, ancora molto scarso. Eppure, la storia è ricca di esempi in tal senso. E se nel passato fosse disegnata la strada degli anni futuri?

Cos’è un anticorpo monoclonale?

Nel 1901, la più famosa accademia in ambito scientifico premia il dottor Emil Adolf von Behring con un premio Nobel per la Medicina. Il suo merito è stato quello di aver trovato una serie di applicazioni terapeutiche di prodotti derivati da sieri animali. Manco a dirlo, il principale agente infettivo contro cui il dottor Von Behring si concentrò fu proprio una malattia infettiva: la difterite.

Da allora, sono stati vagliati diversi tentativi di combattere epidemie, a partire dalla pandemia influenzale nel 1918 fino ad arrivare all’epidemia di Ebola esplosa nel 1976.

Al netto degli intenti e dei fallimenti, se da una parte la produzione di anticorpi monoclonali da utilizzare nelle malattie autoimmuni e nella terapia del cancro non potrebbe essere più florida di oggi, solo un ristretto manipolo di terapie anticorpali è stata brevettata per malattie infettive. Un esempio famoso è palivozumab per la profilassi contro il virus respiratorio sinciziale negli infanti a rischio.

Ma con cosa intendiamo col termine “anticorpo monoclonale”?

Gli anticorpi altro non sono che proteine prodotte da un particolare tipo di globuli bianchi in risposta all’incontro con un antigene, ovvero una sostanza in grado di scatenare una reazione immunitaria.
Generalmente, un antigene evoca la produzione di diversi tipi di anticorpi, specifici per diverse parti dell’antigene stesso (epitopi), prodotti a loro volta da diversi dei suddetti linfociti.
Oggi è possibile produrre in laboratorio degli anticorpi monoclonali, ovvero anticorpi generati da cloni di una sola plasmacellula.

L’innovazione 2.0

Oggi è diventato più facile identificare anticorpi efficaci, praticamente quanto selezionarli, produrli e sintetizzarli. Quando furono descritti per la prima volta negli anni ’70, gli anticorpi monoclonali derivavano dalla vaccinazione contro un particolare tipo di antigene di topi di laboratorio. L’organismo del topo, esposto all’antigene, produceva delle plasmacellule. Queste venivano ricercate nella milza, e quindi raccolte. Ma, nonostante non sia esattamente preistoria e la tecnica sia ancora oggi in uso, esistono ormai approcci più diretti.

Gli anticorpi monoclonali candidati ad un utilizzo terapeutico possono essere ottimizzati con varie strategie, per esempio si può estenderne l’emivita- in altri termini, si può allungarne il tempo di attività, attributo utilissimo per aumentare la loro efficacia e la capacità profilattica. In più, oggi esistono modi per selezionare linee cellulari qualificate, e sistemi animali e vegetali differenti da 10 anni fa.

Con tutto questo ventaglio di benefici, gli anticorpi monoclonali sembrano un candidato ideale per combattere le malattie infettive, capace di fare la differenza a livello di popolazione.

Purtroppo esistono dei limiti: innanzitutto, ancora, i costi di produzione; poi, la somministrazione parenterale, in particolare tramite via iniettiva, per cui i target degli anticorpi debbono essere ben selezionati.

In fin dei conti, a che servono?

Sono tre gli ambiti per cui si studia la produzione degli anticorpi monoclonali. Il primo, per trattare individui già infettati; il secondo, nel trattamento di individui ad alto rischio; altrimenti, come terza possibilità, per interrompere la trasmissione di patogeni in popolazioni ad alto rischio.

L’ultima grande sfida, e la più recente, è stata quella contro Ebola virus. Allo scoppio dell’epidemia nel biennio 2014-2016, contro lo Zaire Ebolavirus sono stati testati inizialmente un cocktail di tre differenti anticorpi monoclonali. Efficaci nei primati non umani, a causa delle scarse quantità rinvenibili non furono testati su soggetti umani. Nel Febbraio 2015 un trial randomizzato con gruppo di controllo è stato iniziato coinvolgendo pazienti infettati. Anche questo, purtroppo, è naufragato: con il crollo dell’incidenza di Ebola e le conseguenti difficoltà nell’arruolare pazienti, lo studio perse i numeri che gli avrebbero garantito la significatività statistica.

Eppure, i pochi dati raccolti sembravano incoraggianti.

Da allora, i ricercatori hanno mosso diversi passi in avanti: basti pensare che sono stati isolati diverso anticorpi monoclonali diretti contro Ebola. Ormai non si parla nemmeno più di “cocktail”: alcuni anticorpi monoclonali candidati proteggono da soli contro il virus, riducendo così al contempo i costi di produzione e semplificando il processo manifatturiero; altri invece proteggono contro specie diverse del virus.

Altra infezione comparsa sul palcoscenico mediatico è quella dovuta al virus Zika. Gli anticorpi monoclonali possono essere usati come misura profilattica per le donne gravide nelle zone ad alto rischio di infezione.

Idealmente, queste donne dovrebbero essere protette prima della gravidanza con un vaccino, ma non sempre questo intervento giunge col corretto tempismo. In questo frangente, gli anticorpi monoclonali potrebbero proteggere il feto senza il ritardo fisiologico necessario al vaccino per creare una risposta immune.

In modelli animali, precedenti ricerche hanno dimostrato l’efficacia di alcuni anticorpi monoclonali anti-Zika nel proteggere il feto dalla sindrome congenita da Zika virus; coi prossimi trial clinici, i ricercatori sperano di confermare a breve questa possibilità anche nell’uomo.

Altro utilizzo, quello per profilassi a livello di popolazione, congeniale ai programmi di sanità pubblica per esempio per arrestare le epidemie influenzali. Se da una lato i vaccini, il presidio più famoso, rimangono la prima scelta, i monoclonali potrebbero colmare quell’intervallo scoperto che sussiste fra l’esplosione del’’epidemia e la creazione di un vaccino contro la nuova epidemia.

Ricordiamolo, i virus influenzali hanno una grandissima capacità di rinnovarsi, cosa che rende la ricerca di vaccini efficaci una rincorsa alle mutazioni dei virus.

Studi hanno dimostrato, per esempio, che l’anticorpo monoclonale MEDI8852 può interrompere la trasmissione dalle vie aeree del virus influenzale H1N1pdm09.

Insomma, se da una parte i costi rendono  la prospettiva di un loro pieno utilizzo fuor di portafoglio, lo stesso non si può dire dell’efficacia degli anticorpi monoclonali, sempre più accreditata e capace di generare speranze.

Prima i programmi di sanità pubblica se ne renderanno conto, prima la classe dirigente sarà preparata all’innovazione, meglio sarà per tutti -soggetti a rischio in primis.

FONTE| articolo NEJM

 

Davide Dionisi
Nato il 5/09/1994, frequento la facoltà di Medicina e Chirurgia all'università Statale di Milano. Sono appassionato tanto di medicina quanto di attualità e tematiche sociali.