Ci facciamo puntualmente smuovere le coscienze dalle ultime notizie del telegiornale quando qualcuno decide di porre fine alla propria esistenza, ci sentiamo tutti un po’ colpevoli, anche se quella persona non l’abbiamo mai vista nè conosciuta. Comincia una frenetica ricerca di qualcuno o qualcosa contro cui puntare il dito: il padre severo, il fidanzato manesco, il bullismo, un’omosessualità che non si ha il coraggio di vivere, una società che mette sotto pressione.
Alla fine, bene o male, il capro espiatorio riusciamo sempre a trovarlo, ed allora lì, giù di stati su facebook e di sproloqui, come un tempo si faceva con fiaccole e forconi alla mano. Tuttavia approfondendo di poco le informazioni che ci vengono date dai giornali, ci potremmo accorgere, nella stragrande maggioranza dei casi, che c’è dell’altro, che se mettessimo a fuoco la situazione, vedremmo una persona (probabilmente) affetta da una delle tante patologie psichiatriche che possono colpire l’essere umano.
Guardiamo oltre, facciamo uno sforzo, siamo realisti, e poco buonisti, prendiamoci delle colpe ma prendiamoci quelle giuste.
Forse un suicidio può essere spiegato con un disturbo psichiatrico, e forse la colpa della società è quella di non essersene accorta: stona troppo per poterlo dire?
Uno stigma da distruggere
Voglio dirvi una cosa, con il cuore in mano: “La psichiatria esiste!”, badate bene, non si tratta di un’ovvietà, come potrebbe sembrare. Esiste la psichiatria e prima esiste la malattia mentale. Questa ha bisogno di persone preparate e che utilizzino strumenti appropriati, quello cioè di cui la psichiatria si compone.
Non possiamo più concederci di negare lo spazio vitale alla psichiatria, se lo neghiamo lasciamo libertà d’azione alla paura che il malato mentale ancora suscita nella popolazione e che è radice sicura di uno stigma ancora prepotente e anacronistico.
In Italia in pochi sanno davvero che la psichiatria esiste, che esiste una rete organizzata in grado di affrontare tutto lo spettro di patologie psichiatriche ad oggi conosciute, che esiste personale formato in 11 anni (11 anni!) di faticosi studi, pronto a curare prima persone, e poi pazienti, che soffrono a causa delle suddette patologie.
Esiste la depressione, esiste il disturbo bipolare, esiste la schizofrenia, esiste l’ansia (e sono sicura che tanti di voi stanno annuendo in questo momento), esistono le fobie, esistono le dipendenze, esistono i disturbi del comportamento alimentare, e si potrebbe continuare per pagine e pagine. Così come esistono queste patologie, esistono dei trattamenti, che siano essi psico-comportamentali, farmacologici o terapie d’equipe con psicologi, che possono, se non guarire, alleviare la sintomatologia che spesso distrugge la vita di queste persone.
Purtroppo siamo abituati a vedere la malattia come un qualcosa che comincia con una sintomatologia precisa, di cui riceviamo una diagnosi più o meno in un momento specifico, e per cui assumiamo dei farmaci tali da alleviare i sintomi. Mi brucia il petto, ho il reflusso, prendo il Pantorc, sto meglio. Con la psichiatria non funziona così.
La teoria dei filtri
Due studiosi, Goldberg ed Huxley, hanno quantificato il problema della sottostima delle patologie psichiatriche, con la teoria dei filtri. Questa suppone che ci siano cinque livelli che una persona deve attraversare, separati da quattro filtri, prima di ricevere un’assistenza psichiatrica completa. Alla fine di questo percorso si stima che circa il 10% delle persone con disturbi mentali raggiunga i servizi di salute mentale, rispetto ad un 90% che si ferma ai filtri precedenti. Ma vediamo insieme come funziona:
Il primo livello è formato da tutte le persone con disturbi mentali in una data comunità. Per darvi una stima concreta si parla di un 60% di persone che lamenta una data sintomatologia, che si traduce in circa il 25-35% di persone con un problema psichiatrico diagnosticabile: più di una persona su quattro.
Il primo filtro è costituito dalla decisione di consultare un medico per i sintomi avvertiti: una percentuale cospicua non si rivolgerà proprio al medico di medicina generale, a causa di fattori culturali o personali. Al medico di base arriverà solo il 22% dei pazienti.
Il secondo livello è costituito da tutti quei pazienti con un disturbo mentale che decidono di recarsi dal proprio medico. Secondo le stime i problemi psichiatrici sono al terzo posto tra i motivi per cui per le persone si rivolgono al medico di medicina generale.
Il secondo filtro è costituito dalla capacità di diagnosticare i disturbi mentali da parte del medico di medicina generale, e questa sarà influenzata da fattori relativi al paziente ed alla capacità del medico.
Il terzo livello è costituito dai pazienti che hanno ricevuto la diagnosi dal proprio medico, uno scarso 10%, che dovrà essere inviato ai programmi di assistenza sanitaria primari.
Il terzo filtro è costituito dal corretto indirizzamento dei pazienti ai programmi appositamente creati per il supporto ai pazienti psichiatrici.
Il quarto livello è costituito dai pazienti che iniziano un programma di terapia psichiatrica ambulatoriale, e siamo ormai ad un 4%, che devono essere valutati per un eventuale ricovero in un reparto psichiatrico.
Il quarto filtro è costituito dai criteri di ricovero psichiatrici.
Il quinto ed ultimo livello è il ricovero in un reparto di psichiatria, a cui arriva, infine, lo 0.5% della popolazione affetta da disturbi mentali.
Cosa possiamo fare
Non ci vuole un occhio esperto per capire che c’è una grossissima sproporzione tra l’effettiva necessità di un supporto psichiatrico e l’effettivo ottenimento del suddetto. Ovviamente noi non possiamo intervenire dopo il medico di medicina generale: quello è un sistema in cui la nostra variabile è pari a zero. Tuttavia potremmo avere un peso decisivo al primo livello, soprattutto potremmo essere in grado di allargare di molto le maglie del primo filtro, incoraggiando quanto più è possibile una persona bisognosa di aiuto a chiederlo alle persone giuste.
Viviamo nel XXI secolo, un secolo che ci spinge costantemente ad abituarci al nuovo, al progresso, alle tecnologie, alle rivoluzioni culturali. Cent’anni fa era utopia pensare che potesse esistere il matrimonio gay, o l’eterologa, o che si potesse guarire dai tumori, ciononostante tremiamo ancora nel sentire “schizofrenia”, e spesso usiamo ancora la parola “pazzo”, nonostante la parola “frocio” ora faccia, giustamente, scandalo.
Nel XXI secolo normalità vorrebbe che depressione e cardiopatia ischemica siano sullo stesso piano, che schizofrenia e diabete inducano la stessa reazione in che le sente, che ansia e polmonite vengano trattate con la stessa frequenza.
La psichiatria esiste!
Spesso non è solo colpa della società, del fidanzato fedifrago, del bullismo, spesso coesistono patologie, spesso la psichiatria potrebbe fare la differenza, spesso ci sarebbero farmaci e terapie che potrebbero salvare la vita.
Bisognerebbe fare un passo più lungo della propria gamba e andare oltre le bugie che vengono quotidianamente dette (consapevolemente o non) per celare questi disturbi, perchè alla fine, caschiamo sempre tutti dal pero quando qualcuno decide di commettere un gesto così estremo.
Bisognerebbe chiedersi da dove nascano, il disagio che queste celano, il disturbo che le genera. Bisognerebbe chiedersi perché non tutti prendono e si buttano giù davanti alle difficoltà della vita, perché la delusione ed il dolore hanno pesi diversi.
Smettiamola di non dire certe cose, smettiamola di trattare i disturbi mentali come il cancro veniva trattato fino a qualche anno fa, quando era “un brutto male”. Chiamiamoli disturbi mentali, e impariamo a riconoscerli. Dopo averli riconosciuti riconosciamo la psichiatria, come riconosciamo ormai così bene la cardiologia.
La psichiatria esiste, anche se a noi fa più comodo chiudere gli occhi; la psichiatria esiste, nonostante il fatto che “pazzo” faccia ancora così tanta paura; la psichiatria esiste, quella che non dovrebbe esistere più è la vergogna.
Scritto ed elaborato in collaborazione con Antonella Moschillo
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