“L’obiettivo per un’adeguata terapia del diabete deve includere un serio sforzo per raggiungere livelli glicemici simili al soggetto senza diabete”
Un’affermazione oggi apparentemente scontata, ma che ai tempi di Elliot P. Joslin era solo una speranza. Joslin fu uno dei primi medici a specializzarsi negli Stati Uniti nella cura del diabete quando l’insulina non era ancora disponibile come terapia, nei primi anni del secolo scorso.
Oggi quella speranza si sta pian piano trasformando in realtà, ma procediamo per gradi.
Mi chiamo Carmine, ho 24 anni e sono un ragazzo con diabete di tipo 1, una malattia autoimmune in cui il sistema immunitario attacca le cellule delle isole di Langerhans del pancreas produttrici di insulina, un ormone che, insieme al glucagone, partecipa alla regolazione dei livelli ematici di glucosio.
È proprio quello che cerco di fare quotidianamente sin da piccolo; regolare il livello di zuccheri nel mio sangue abbassandoli quando sono troppo alti e non facendoli scendere troppo se tendono verso il basso. Mancavano pochi giorni ai nove anni quando mi è stato diagnosticato.
Nel momento in cui fa capolino sin dall’infanzia è inevitabile che il diabete colpisca anche la propria famiglia, i propri genitori. Lo si affronta insieme.
Quello che si forma in casa è un vero e proprio Team; e tutto quello che i tuoi genitori fanno per te avviene sulla scorta di una forte guida alle loro spalle, quella dei diabetologi pediatri.
Mi piacerebbe tanto ripercorrere la mia vita finora per condividere la storia del mio diabete, ma per chiare norme di tempo e spazio, dedicherò le righe di questo articolo agli anni più recenti, a quello che viene definito nell’ambito delle patologie croniche periodo di transizione, periodo in cui i pazienti con diabete diagnosticato in età pediatrica, il cui trattamento deve proseguire nel corso della vita, “transitano” dalle cure del pediatra diabetologo a quelle del diabetologo dell’adulto.
Durante questo processo ho avuto la possibilità di fare delle scelte, che oggi mi permettono di vivere il diabete in maniera serenamente consapevole.
Ho avuto la possibilità di cominciare la terapia con microinfusore (Infusione di Insulina Sottocutanea Continua – CSII). Ho potuto cambiare dopo anni di terapia multi-iniettiva (Multi Daily Injection – MDI) grazie alla guida attenta dei diabetologi pediatri che mi hanno seguito sin da piccolo.
Questa scelta è stata un vero e proprio spartiacque nel mio percorso.
Il microinfusore, ormai da anni rappresenta una valida alternativa alla terapia multi-iniettiva con penna. È un dispositivo molto compatto (più o meno come un piccolo cellulare o un MP3) agevole da indossare (personalmente lo metto facilmente in tasca) che infonde in modo continuo e costante piccole quantità di insulina ad azione rapida nel sottocute 24 ore al giorno così da rispondere in modo preciso alle necessità del proprio corpo (infusione basale). Inoltre, sempre tramite il microinfusore, è possibile infondere boli di insulina per compensare i pasti o per correggere eventuali iperglicemie.
Questo device, insieme ad un sensore per il monitoraggio in continuo della glicemia (Continous Glucose Monitoring – CGM), costituisce quello che viene definito sistema integrato di CGM ed infusione insulinica (Sensor augmented Pump Therapy – SAP) o Open Loop System, un sistema per la gestione del diabete nel quale è ancora essenziale l’intervento dell’uomo. Difatti l’erogazione di insulina attraverso la pompa sottocutanea viene ancora regolata dal paziente, seppur i moderni microinfusori siano dotati di calcolatori di bolo per aiutare a determinare la quantità di insulina sulla base di parametri determinati dal proprio medico e basati su specifiche necessità personali.
È stato il passaggio al diabetologo dell’adulto che mi ha permesso di iniziare ad usare il sensore per il monitoraggio in continuo della glicemia, uno strumento simile ad una chiocciolina, applicabile anch’esso nel sottocute, capace di connettersi al microinfusore e proiettare sul display ogni 5 minuti il livello di zuccheri nel mio sangue.
Il sensore rappresenta un’importante guida per la gestione della terapia, permettendo al medico di capire per quanto tempo le glicemie del paziente sono fuori dal target glicemico o quanto queste se ne discostino, dando una stima della variabilità glicemica o deviazione standard dalla media. Questo indicatore rappresenta un elemento aggiuntivo a quelli già considerati da tempo, come l’emoglobina glicosilata (HbAc1), nella valutazione globale del controllo glicemico.
Il sistema CGM consente di evitare eccessive escursioni della glicemia, mantenendo sotto controllo i valori nell’arco delle 24 ore e per più giorni, in modo da ottimizzare la terapia.Ma soprattutto permette al paziente un’efficiente prevenzione delle complicanze acute, in particolare ipoglicemiche, soprattutto quando queste sono asintomatiche.
Con il tempo il sistema integrato mi ha permesso di adattare il diabete alla mia vita e non viceversa!
La scelta del microinfusore richiede impegno e responsabilità, ma ricambia con grande flessibilità e libertà di scelta anche nell’alimentazione, coniugando una buona educazione alimentare che comprenda l’uso della conta dei carboidrati, per la quale ci sono attualmente numerose applicazioni per smartphone o funzioni integrate nel microinfusore, che permettono di determinare automaticamente le unità di insulina necessarie a metabolizzare i grammi di carboidrati che si introducono ad ogni pasto sulla base del proprio rapporto Insulina/CHO, definito grazie all’aiuto del medico diabetologo.
Quando ero ancora un piccolo bambino con diabete sentir parlare di pancreas artificiale richiamava alla mia mente dispositivi troppo futuristici, degni del giovane Marty McFly e del suo amico scienziato “Doc” nella trilogia del favoloso film “Ritorno al futuro”.
Da allora non è passato tanto tempo e oggi mentre scrivo le righe di questo articolo, ho con me un nuovo microinfusore ed un sensore che rappresentano la più recente innovazione verso il sistema Closed Loop System o Sistema ad “ansa chiusa”.
La novità, per adesso, sta nell’introduzione di algoritmi che permettono ai due sistemi di comunicare e sospendere l’erogazione di insulina basale quando il glucosio del sensore si sta avvicinando ad un limite inferiore preimpostato.
Poi l’erogazione dell’insulina basale sospesa viene automaticamente riavviata nel momento in cui i valori del glucosio del sensore si rialzano, lasciando comunque al paziente la possibilità di riavviare manualmente l’erogazione di insulina in ogni momento.
Questo sistema rappresenta un grande passo avanti verso il Pancreas Artificiale (PA), il quale sarà composto da tre elementi: un microinfusore di insulina, un sistema di monitoraggio continuo della glicemia e algoritmi che calcolino quanta insulina va somministrata in base alla lettura del CGM, in modo completamente automatico, 24 ore al giorno, lasciando alla persona con diabete soltanto la gestione dell’insulina ai pasti. Non mi sorprenderebbe che nei prossimi anni fossero già disponibili.
Grazie a questi strumenti, il mio diabete è diventato un vero e proprio Personal Trainer. Ogni giorno mi ricorda di seguire un’alimentazione sana, varia ed equilibrata. Mi ricorda di ritagliare un po’ di tempo per praticare attività fisica così da prendermi cura di me e migliorarmi. Mi ricorda quanto sia importante avere un atteggiamento positivo nei confronti di qualsiasi situazione la vita mi riservi. Mi dà una marcia in più.
Lo stile di vita al quale è chiamato un ragazzo con il diabete è molto vicino a quello di qualsiasi altra persona voglia vivere in salute e benessere con il proprio corpo.
L’unica differenza è l’importanza della misurazione della glicemia e dell’iniezione di insulina, due aspetti che questi nuovi sistemi stanno rendendo sempre più semplici ed efficaci.
Attualmente, i dispositivi disponibili in Italia sono a carico del Sistema Sanitario Nazionale e seppur i costi sembrino eccessivi a breve termine, recenti studi hanno dimostrato la loro costo-efficacia a medio e lungo termine per il trattamento del diabete di tipo 1 anche nell’adulto. Questi studi sono fondamentali per aiutare i clinici a convincere i decisori sanitari che questo tipo di trattamento, sebbene inizialmente più costoso, alla lunga ripaghi e incida positivamente nei costi diretti e indiretti per la cura del diabete.
Con il tempo ho conosciuto tanti ragazzi e ragazze con la mia stessa malattia, durante le visite, ma anche all’università o casualmente in treno mentre ero in viaggio ed è bello scoprire come il diabete, seppur una patologia dagli aspetti clinici ben definiti, sia diverso da persona a persona.
Personalmente sono affascinato dal modo di vivere il diabete di tipo 1 dagli atleti. Ce ne sono molti e tutti rappresentano l’evidenza, insieme a diversi studi che l’esercizio fisico non sia un semplice consiglio, ma una medicina come le altre, anzi più potente.
Ognuno definisce la propria condizione e fa del diabete una parte di sé cercando di raggiungere un equilibrio statico o dinamico che sia, guidato sempre da un unico fine, l’amore per la propria persona. Mangiare bene, tenersi in forma, vivere bene il proprio diabete, son tutte cose che non si prestano a soluzioni rapide o a trucchetti. È l’esito finale delle nostre abitudini e delle nostre decisioni quotidiane.
Oggi, fortunatamente migliorare il proprio stile di vita facendo più movimento e adottando una dieta più salutare sta diventando una priorità per un numero sempre crescente di persone e avere una condizione che ti ponga continuamente davanti a delle scelte giuste o sbagliate per amore di sé stessi, con il contributo della tecnologia, può trasformare il diabete in un’opportunità di crescita e resilienza caratteristica a mio parere molto preziosa per il singolo e la società in cui vive.
Tutto questo mi ha portato ad un’importante consapevolezza: io non sono il mio diabete. La mia vita non coincide con il diabete o con la terapia. È uno zaino che porto sulle mie spalle. E sono io che porto questo zaino, non viceversa.
Sempre Joslin affermava che a parità di tutti gli altri fattori, un diabetico che conosce di più la propria malattia vive più a lungo. Per questo mi rivolgo ai miei coetanei con diabete, ma anche ai più piccoli e ai più grandi: siate coraggiosi, rispettate la vostra condizione, rispettate voi stessi e con il diabete in spalla potrete arrivare molto lontano, più lontano di quel che pensiate. Abbiate fiducia in voi stessi, nei mezzi che giorno dopo giorno ci vengono messi a disposizione, ma soprattutto nei medici. Confrontatevi con loro, fategli domande, siate propositivi e anche quando sembra che non abbiano tempo, scrivetegli. Insomma, “siate co-piloti e non solo passeggeri nel vostro percorso sanitario”.
Se vi va, spiegate ai vostri amici cos’è il diabete, coinvolgete i vostri insegnanti a scuola, siate diretti promotori di uno stile di vita sano e corretto. Il diabete si cura non solo negli ospedali, ma anche attraverso un programma di informazione che coinvolga la comunità. Capisco quanto possa essere difficile gestire questa malattia, ma non fate del diabete un limite.
Cercate di renderlo un valore aggiunto, credetemi, oggi è possibile. Non siate i vostri “alti e bassi”. Siete molto di più, molto più forti.
Il diabete ti dà un’occasione che si trasforma subito in responsabilità; scegliere come viverlo. Sono tante le abitudini che ha portato nella mia vita. Molte rappresentano una marcia in più se viste con occhi consapevoli.
È per questo che scelgo ogni giorno di viverla come una malattia che salva.
Guardando al passato e ai progressi che abbiamo vissuto in ambito terapeutico, sono molto fiducioso. Molto presto avremo a disposizione cure che permetteranno alle persone con diabete di tipo 1, ma anche di tipo 2 in trattamento insulinico multi-iniettivo, di non doversi più occupare in modo intensivo della propria condizione; nel frattempo mi piace pensare che la cura sia già nelle nostre Mani con gli strumenti sempre più efficaci e nella nostra Testa con uno stile di vita lontano da vizi alimentari e abitudinari.
Il mio augurio più grande è che nell’attesa di una cura sempre più prossima, strumenti come microinfusori o sensori per il monitoraggio continuo della glicemia possano diventare sempre più accessibili e agevoli a tutti, piccoli e grandi senza alcuna differenza di trattamento tra le diverse regioni del nostro paese.
Carmine Piccolo