Nel mondo informatizzato e tecnologico come quello attuale, ogni singolo individuo è un generatore impressionante di dati che possono essere analizzati e quindi utilizzati in svariati settori. In ambito medico-sanitario la loro raccolta, conservazione e analisi può costituire il perno su cui costruire il futuro prossimo. Ovviamente non è un percorso semplice, oltre a mostrare scenari a dir poco stupefacenti presenta infatti anche ostacoli da superare e dubbi da eliminare.
Cosa si intende per Big Data?
Il termine Big Data è stato originariamente coniato dagli scienziati della NASA nel 1997 in seguito alla difficoltà di visualizzare e memorizzare un set dati troppo grande, limitandone di conseguenza la loro analisi.
Ad oggi la definizione di big data ruota invece intorno a quelle che sono le “V”: volume, varietà, velocità.
–Volume: sono volumi impressionanti di dati che vanno da 100 terabyte ai petabyte;
–Varietà: sono dati di varia natura, provenienti da fonti diverse (strutturati e non);
–Velocità: sono generati e analizzati grazie ad algoritmi in tempo reale, o quasi, creando quindi un flusso continuo.
Quindi, attraverso i big data e per mezzo di algoritmi di intelligenza artificiale (AI), si riescono a scovare relazioni causali tra vari fenomeni, non osservabili normalmente, ottenendo in maniera del tutto automatica nuove conoscenze.
Come si applicano in ambito sanitario?
L’utilità in ambito sanitario, come si può facilmente immaginare, è molteplice. In sanità pubblica, ad esempio, potrebbero essere usati per realizzare sistemi in grado di analizzare e combattere tempestivamente focolai epidemici ma anche per creare vaccini più accurati. Per quanto riguarda invece il singolo individuo, renderebbero più semplice predire e prevenire l’insorgenza di quadri patologici piuttosto che permettere lo sviluppo di analisi avanzate nella diagnostica per immagini, migliorando diagnosi, prognosi e trattamento. Inoltre, darebbero un ulteriore apporto allo sviluppo della genomica.
Quanto elencato è solo la punta di un iceberg ma che basta a poter capire come tutto ciò renderebbe concreta quella che prende il nome di medicina di precisione.
Abbandonando l’inferenza e aprendo le porte al “machine learning” si accederebbe ad un nuovo modo di fare medicina e ricerca. Il ricercatore, così come il medico 2.0, dovrà affrontare nuove sfide: riuscire a gestire e sfruttare al meglio questa pioggia di dati e acquisire nuove competenze di natura informatica in primis.
Tuttavia, il professionista della salute non potrà far fronte a tutto ciò da solo, significherebbe allontanarsi in qualche modo dal suo obiettivo principale, ma dovrà essere affiancato da una compagine di professionisti estranei al mondo della medicina (informatici, ingegneri, fisici). Ecco quindi che acquisire capacità di team working diventa un punto imprescindibile.
Quanto detto fin ora comunque non deve essere circoscritto nell’ambito della fantamedicina. Ad oggi, gli applicativi software e i dispositivi medici che implementano tecniche di AI sono sempre più presenti in medicina e iniziano a dare i primi risultati.
Punti deboli nell’uso dei Big Data
In un oceano di dati comunque qualche scoglio bisognerà superarlo e nell’uso dei big data alcuni degli scogli da superare riguardano: la bontà dei dati ottenuti, il saper utilizzare questi dati, il diritto alla privacy, la cultura della condivisione.
Partendo dalla bontà dei dati, la forza dei big data è nel trovare associazioni e non nel mostrare che queste associazioni abbiano significato; oltre tutto, sono per definizione di tipo osservazionale e come tali esposti a distorsioni.
Proprio per questo motivo è di fondamentale importanza il saper utilizzare questi dati. In tal senso è imprescindibile un parallelo sviluppo in termini di tecniche statistiche ed analitiche.
Altro punto di estrema importanza è quello relativo alla cultura della condivisione. Non può esistere tutto quello che si è detto se non vi è la condivisione di tutti questi dati. Di conseguenza bisogna superare la cultura per cui solo il produttore del dato può usufruirne ma capire che la condivisione di un dato personale potrà rappresentare un bene per l’intera comunità.
Tutto questo quindi conduce ad una profonda riflessione riguardo il diritto alla privacy. Se dal punto di vista puramente etico non ci sono problemi nell’usufruire di dati personali per promuovere salute e benessere, diverso è invece se tali dati vengono utilizzati ai fini commerciali per creare profitto. Ecco quindi che nasce la necessità di pensare ad un’idonea formulazione del consenso per il cittadino oltre che sviluppare modalità specifiche per la gestione dei dati derivanti dalle varie fonti.
Conclusioni
Il panorama che si riesce a scorgere è avvincente. In qualche modo si sta parlando di una nuova medicina e di un nuovo modo di lavorare fatto di tecnologie avanzate, sistemi di AI e nuove professioni.
Non si può pensare di non permettere questi sviluppi solo perché, da una buona fetta dell’attuale classe medica, la tecnologia e soprattutto i sistemi di AI vengono visti come un rischio per la professione.
Possiamo esclusivamente decidere se essere i protagonisti di questo cambiamento o aspettare che tutto ciò venga “imposto” dall’esterno.
In fin dei conti, come dice in un articolo Ziad Obermeye (Assistant Professor di politica sanitaria all’Harvard Medical School) “la tecnologia non sempre elimina il lavoro; talvolta lo cambia e coloro che devono adattarsi possono finire col diventare i veri vincitori”.
LINK IMMAGINE: https://www.othot.com/introduction-othot-data-science-language/
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