L’antimicrobico resistenza (AMR) è un problema attuale di grande rilevanza.
Si stima che, se non si interverrà precocemente, nel 2050 ci saranno più morti dovuti a malattie infettive antibiotico resistenti rispetto a quelle per cancro (fonte: ECDC).
Nonostante i numerosi incontri tra esperti di tutto il mondo e le campagne di sensibilizzazione, la situazione non tende a migliorare. Nei paesi in via di sviluppo, inoltre, l’argomento è totalmente negletto.
Il nostro Paese, purtroppo, detiene la maglia nera in Europa per l’incidenza delle infezioni da agenti farmaco resistenti. Con un’estensione del fenomeno a “macchia di leopardo”, si alternano regioni più “virtuose” a regioni dove si interviene poco o nulla.
Abbiamo intervistato il Dott. Giovanni Rezza, Direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).

Dottor Rezza, come descriverebbe in parole semplici l’AMR?
R: L’antimicrobico resistenza è un fenomeno che può presentarsi quando una persona assume antibiotici in modo errato, o perchè li assume senza prescrizione medica o perchè il medico ne ha prescritto uno inadeguato e/o con una durata del trattamento inadeguata. O, semplicemente, perchè il paziente è “sfortunato”, c’è anche questa componente da valutare. Il batterio di per sè tende a mutare e l’assunzione di antimicrobici può portare alla selezione di ceppi che hanno acquisito una resistenza all’antimicrobico stesso. Questo porta ad un problema sia per il paziente, che potrebbe non avere a disposizione antibiotici adatti a sconfiggere quel patogeno, sia per la comunità, soprattutto in ambiente ospedaliero in reparti, come la terapia intensiva, dove il patogeno mutato può essere trasmesso a pazienti in condizioni fragili.
L’Italia, purtroppo, è maglia nera in Europa per incidenza di infezioni AMR. Secondo lei, perchè?
R: Si, l’Italia è maglia nera in Europa ma in compagnia di Grecia e Romania. Le cause sono da imputare all’abuso e all’uso scorretto degli antibiotici. Ne vengono utilizzati troppi e a sproposito, soprattutto in ambiente ospedaliero. Ad esempio, nella profilassi degli interventi chirurgici basterebbe una singola dose, invece si tende a mettere in profilassi il paziente per una settimana. Oppure, basti pensare ai cateteri: bisognerebbe inserirli solo al bisogno e, invece, vengono inseriti per tutta la durata del ricovero con annessa profilassi antimicrobica, aumentando il rischio di infezioni urinarie AMR. Un’altra causa di AMR è il mancato lavaggio delle mani, per incuria o per carenza del personale, azione importantissima, soprattutto quando in ospedale si passa da un paziente ad un altro.
Indirettamente, lei ha indicato le poche e semplici regole per evitare l’AMR.
R: Si, il lavaggio delle mani e il corretto utilizzo degli antibiotici. Poche cose che certamente potrebbero ridurne l’incidenza.
Però, anche se così semplici, non vengono adottare. Secondo lei, perché manca l’informazione o la formazione negli operatori sanitari?
R: Si, c’è una scarsa informazione sia negli operatori sanitari che nel pubblico. Certamente, anche la formazione negli operatori sanitari pecca. A parte gli infettivologi e pochi altri, spesso i medici tendono a non saper usare gli antibiotici. Ad esempio, a livello comunitario si tende ad assumere antibiotici anche per l’influenza, quando non ce ne sarebbe bisogno, essendo virale. Ma, soprattutto, in ambito ospedaliero, perché fa da amplificatore a livello di epidemie di germi antibiotico resistenti. Quindi si, non si sanno usare bene gli antibiotici, si usano male. Ed è qualcosa che si tende a sottovalutare.
Un’altra questione sollevata è quella dell’utilizzo di antibiotici in campo veterinario. Quanto c’è di vero, quanto può incidere sull’AMR umana l’ingestione di carne trattata con antibiotici?
R: Sebbene gli organismi internazionali battano molto sul concetto di “One Health” (comunione di salute umana, veterinaria ed ambiente), non sempre l’uso e l’abuso di antibiotici in ambito animale si ripercuote nel comparto umano. Un esempio è la colistina, un farmaco che è stato abusato per anni in ambito veterinario e che non ha mai causato AMR nell’uomo fin quando non è stato utilizzato molto in ambito ospedaliero, essendo un farmaco salvavita nelle infezioni resistenti ai carbapenemi, come quella da Klebsiella Pneumoniae. Quindi, secondo me, non è automatico il passaggio da animale ad uomo. Però, ci sono aree del mondo, come il Sud-Est Asiatico o la Cina, dove la concentrazione di animali pro-capite è elevata e le condizioni igieniche sono scarse. Allora, forse, in questi contesti l’AMR potrebbe passare da animale all’uomo. Però, io non generalizzerei in maniera semplicistica che l’utilizzo di antibiotici a livello veterinario causi AMR nell’uomo, perchè, sebbene ci siano molti indizi e alcune evidenze, bisogna riuscire a quantizzare concretamente il fenomeno.
Quindi, è un po’ una bufala?
R: No, una bufala no perchè per certi antibiotici e per certi microrganismi ci sono delle dimostrazioni scientifiche. Però, in certi contesti se ne dà un’enfasi maggiore di quella che meriterebbe.
Si tende a pensare anche che l’AMR possa essere causata dai flussi migratori degli ultimi anni.
R: Sull’AMR non è particolarmente rilevante. E’ vero che i germi viaggiano con l’uomo, basti pensare,ad esempio, alla Tubercolosi. E’ chiaro che se molte persone provengono da aree dove la TBC è particolarmente diffusa e circolano micobatteri resistenti ai farmaci, questi possono essere introdotti in un altro paese. Però, per quanto riguarda i germi comuni ospedalieri la migrazione non gioca un ruolo importante. Semmai,un ruolo può giocarlo la globalizzazione di uomini, merci, vettori, il fatto che ognuno di noi possa spostarsi in altri paesi dove ci sono forme di resistenza diverse dalle nostre. Ma è un fenomeno relativamente limitato e, inoltre, sarebbe difficile da contrastare.
Quali sono le iniziative dell’Istituto Superiore di Sanità per contrastare l’AMR?
R: L’ISS da anni è impegnato, soprattutto, in progetti di sorveglianza. Un sistema si chiama AR-ISS e comprende una cinquantina di centri ospedalieri sparsi per il territorio nazionale che ci permettono di monitorare l’AMR nel nostro Paese. Quest’anno, inoltre, il Ministero della Salute ha messo in atto un primo piano nazionale che affida all’ISS l’importante ruolo di tentare di migliorare questi sistemi di sorveglianza. Cosa che sicuramente va fatta, perché abbiamo informazioni discrete per quanto riguarda l’AMR, però, non abbiamo informazioni accurate riguardo la quantizzazione del problema. Quindi, ci impegniamo a fare molto di più.
Le faccio la classica domanda da colloquio di lavoro: da qui a dieci anni, come vede la situazione dell’AMR in Italia?
R: E’ difficile da dirsi. Abbiamo visto le spaventose previsioni fatte dalle organizzazioni inglesi a cui è stato commissionato il rapporto sull’AMR, con stime probabilmente un po’ eccessive rispetto alla realtà. Il punto è che per alcuni germi, come lo Stafilococco, nonostante la nostra maglia nera europea, negli ultimi anni abbiamo avuto una riduzione di casi di antibiotico-resistenza. Ma per altri germi, soprattutto Gram negativi come Klebsiella Pneumoniae e Acinetobacter, abbiamo avuto un peggioramento della situazione. Molto dipenderà da quanto si vorrà porre attenzione sul problema, soprattutto in ambito ospedaliero. Ora come ora, non si possono far previsioni.