Le ultime settimane hanno visto noi studenti di medicina e chirurgia protagonisti di una svolta attesa ed allo stesso tempo temuta: la riforma sull’abilitazione alla professione di Medico Chirurgo.
Ecco a voi i punti salienti, i rischi, le opportunità.
Laurea con abilitazione
Partirei con il nome, che già può darci qualche dritta sul capire il tipo di riforma.
Si sente spesso parlare di “Laurea abilitante“, ma è un uso improprio del termine in quanto, per correttezza, si dovrebbe parlare di “Laurea con abilitazione”.
Abilitante infatti intenderebbe dire che la laurea stessa in sé abilita alla professione. Ma non è così. Sarà il test che verrà organizzato in modo tale da essere reso prossimo alle sedute di laurea ad abilitarci, così da entrare nel mondo del lavoro il prima possibile.
Il tirocinio
Una delle svolte più evidenti è l’anticipazione dei tre canonici mesi di tirocinio, uno chirurgico, uno clinico ed uno in medicina generale, nei 6 anni. Questo però potrà essere effettuato solo a partire dal 5 anno e solo dopo aver sostenuto gli esami chiave fino al 4 anno. Nota importante è la possibilità di non eseguirli tutti di fila ma di poter fare un mese alla volta quando meglio preferiamo.
Rischi:
I rischi sono molti, moltissimi, è innegabile. In università dove regna la disorganizzazione, esso potrà addirittura andare a sostituire i già pochi tirocini professionalizzanti o invece sovraccaricare la sostenibilità di un percorso formativo non certo facile.
Opportunità:
È lampante però, che qui ci si trova di fronte alla possibilità di risistemare con lungimiranza le ore (spesso poche ed inutili) di pratica effettuate nei 6 anni.
Ci troviamo di fronte alla possibilità di migliorare largamente la qualità delle ore svolte, addirittura potremmo pensare di finirla di essere semplicemente “reggi-muri” in una stanza di ospedale.
Forse, andando a parlare con i presidi delle proprie facoltà, sarà possibile davvero rendere il nostro percorso più a misura delle necessità dello studente e della professione che andremo a svolgere.
Esame
Il nuovo esame di abilitazione verrà svolto tre volte l’anno (non più due) e prevederà 200 domande di cui 150 di carattere clinico-chirurgico (con anche risoluzione di casi clinici) e 50 invece di applicazione delle scienze di base.
Esso, a differenza di quello attuale, non sarà più composto da domande estratte da un pool pre-esistente, ma saranno domande di volta in volta nuove.
Perchè si è dovuto cambiare il test?
Questa è la prima domanda che ci siamo posti tutti quanti. Per capirlo vi invito un attimo ad estrarvi dal contesto e a riflettere con me: secondo voi un test che permette di superare la prova al 97% dei candidati, è un test valido?
Non ci vogliono i professoroni esperti di Assessment in Medical Education per capire che il nostro vecchio test di abilitazione non era affatto un “buon esame”, ma uno fin troppo benevolo. Per come erano le cose non si andava a valutare l’effettiva conoscenza e preparazione del candidato, ma solo la sua abilità nel memorizzare il maggior numero di domande possibili.
Rischi:
Per questa prova ci si sta rifacendo al modello del Progress Test. Questa è la preoccupazione di tutti.
I presidi dei nostri corsi di laurea sono ben consapevoli dei limiti di questo strumento. Sanno che la percentuale di studenti campionati finora è del 60% fino al 2016, e che nel 2017 non è migliorata di moltissimo. Quindi, quel 40% di studenti non campionati che tipo di studenti sono? Quelli super bravi o quelli meno preparati?
Sanno che la percentuale di persone dell’ultimo anno che lo passerebbe non è così elevata (80%) e sanno che le domande finora utilizzate sono state poco rispecchianti il percorso di studi italiano, ma invece molto più esterofile; infatti, chi le preparava erano enti o professori al di fuori del suolo italiano.
Per questo motivo è stata creata una commissione Italiana che si occuperà della stesura di tali domande e confido nel prossimo Progress Test per capire meglio che tipo di difficoltà avrà il futuro esame abilitativo.
Opportunità:
Questo è il punto a me più caro. Insieme al miglioramento del tirocinio e della formazione, forse dovremmo farci una domanda più bella e più stimolante
Può un test solamente dirmi se sono idoneo alla professione medica? A una professione che è fatta di “know” ma anche di “know how”, di “does” ma anche di “to be”?
Certamente no. Quindi vi invito a far partire nelle vostre realtà universitarie riflessioni e richieste circa l’attuazione di metodi di valutazione più consoni alla tipologia di competenza da esaminare.
Non si può valutare la capacità di auscultare con un esame a crocette, come non si può valutare la capacità di praticare un punto di sutura solo con una simulazione al pc.
Per valutare infatti il “Show how” ed il “Does” ci sono specifiche modalità di valutazione come l’OSCE o il MiniCEX che forse sarebbero più adeguate.
Un po’ come funziona in altri stati (Usa, UK…), essi sono utilissimi per valutare il livello di preparazione anche pratica dello studente, infatti nei loro test abilitativi sono richieste attività da svolgere praticamente.
Probabilmente, nei primi anni di attuazione della nuova riforma ci sarà una fase di assestamento di non poco conto. Emergeranno le differenze curricolari delle varie università ed insieme ad esse tutti i limiti degli strumenti utilizzati.
Siamo abituati al saper fare “all’italiana“, in cui ciò che è facile ci sembra più giusto, ma non può e non deve essere così. Che la meritocrazia e la conoscenza ci rendano i migliori professionisti possibili.
FONTI | Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – Serie Generale – Anno 159° – Numero 126; Articolo su quotidianosanita.it; Il Progress test – Journal of Italian Medical Education; Articolo su repubblica.it