Nata a San Francisco questo febbraio la prima bambina trattata geneticamente in utero per una patologia mortale: l’alfa talassemia major.
La malattia
L’alfa talassemia è una malattia genetica causata dalla mutazione dei quattro geni che portano l’informazione per la sintesi della catena alfa dell’emoglobina, la proteina deputata al trasporto di ossigeno nel sangue.
Un’anomala formazione della stessa causa uno spettro variabile di sintomi, a seconda del numero di geni coinvolti nella mutazione. Si parla infatti di portatore sano quando vi è solo un gene malato (in questo caso non c’è segno di malattia ma il gene difettoso si trasmette alla prole), di tratto alfa talassemico (o talassemia minor) quando i geni coinvolti sono due: questa situazione comporta una leggera anemia cronica, ossia una diminuita quantità di emoglobina e dunque di ossigeno circolante nel sangue.
Più delicate sono le condizioni restanti, definite rispettivamente emoglobina H, quando 3 sono i geni affetti, con condizioni variabili dall’asintomaticità ad un’anemia severa che diviene emolitica, per distruzione dei globuli rossi ed ingrossamento della milza, e alfa talassemia major, condizione ben più grave in cui tutti i geni sono mutati comportando aborto spontaneo, morte intrauterina e morte neonatale.
Normalmente, le gestanti a cui sia diagnosticato un feto affetto da alfa talassemia major, ricevono una prognosi fetale severa e spesso decidono di terminare la gravidanza date le scarse possibilità di sopravvivenza.
Lo sviluppo di anemia progressiva e scompenso cardiaco prima della nascita causa, infatti, disturbi dello sviluppo qualora il trattamento sia tardivo. Le cure previste finora consistono in trasfusioni di sangue a vita da iniziare nel secondo trimestre o un trapianto di midollo osseo con donatore compatibile in infanzia qualora il feto sopravviva.
Il caso clinico
I genitori di Elianna, entrambi inconsapevoli portatori sani della malattia, ricevono la notizia della grave patologia fetale nel II trimestre di gravidanza in seguito ad un’ecografia ostetrica che mostra idrope fetale.
Questa condizione potenzialmente mortale, caratterizzata dall’accumulo di liquido in eccesso all’interno di almeno due tessuti e/o cavità fetali era accompagnata da una cardiomegalia (cuore ingrossato) come risultato della risposta all’anemia severa e alla mancanza di ossigeno, tratto caratteristico dell’alfa talassemia major.
Il trial clinico
L’esperimento è consistito nel trapiantare cellule staminali materne in seguito a numerose trasfusioni di sangue che hanno normalizzato i livelli di emoglobina, metodo quest’ultimo routinariamente utilizzato per anemie fetali severe.
Le condizioni fetali, migliorate progressivamente da ciascuna trasfusione, secondo il ginecologo Juan Gonzalez Velez che le ha eseguite, hanno infine permesso il trapianto.
Tale tecnica è consistita nel prelievo del midollo osseo dalla donna incinta tra la 18esima e la 25ima settimana di gestazione e nella sua processazione al fine di far maturare ed estrarre le cellule ematopoietiche, ossia le cellule staminali che possono produrre tutti i tipi di cellule ematiche. Queste infine sono state iniettate attraverso l’addome materno nella vena ombelicale fetale, dalla quale son potute diffondere in tutto il distretto ematico maturando in cellule ematiche sane.
Il vantaggio di intervenire in utero, oltre al fatto di tamponare prima la gravità della patologia, consiste in una maggiore probabilità di riuscita rispetto al trapianto in età infantile. Il sistema immunitario fetale, infatti, è ancora immaturo e caratterizzato da una maggiore tolleranza alle cellule materne durante la gravidanza, permettendo al trapianto di attecchire senza necessità di aggressive terapie immunosoppressive.
Dopo decenni di ricerca, Tippi MacKenzie, chirurgo pediatrico e fetale ha eseguito l’intervento pionieristico presso l’UCSF Benioff Children’s Hospital di San Francisco, dichiarandosi “soddisfatto di quanto bene sia la neonata, sia la mamma abbiano tollerato questo complesso trattamento” a conclusione della fase 1 del trial clinico, riservata a comprendere la sicurezza dello stesso.
Quando il gruppo stabilirà la sicurezza su 10 pazienti, potrà stabilire se e come il protocollo necessiti modifiche per rappresentare una terapia efficace.
La bambina è nata a 37 settimane pesando due chili circa. Dimessa dall’ospedale, tornerà in seguito per ulteriori trasfusioni di sangue e probabilmente un nuovo trapianto di cellule staminali per mantenere il proprio stato di salute.
Obiettivo finale del trial sarà infatti verificare se le cellule staminali materne trapiantate si impiantino nel midollo fetale senza necessità di trapianti successivi.
Conclusione
“La nascita di Ellanie suggerisce che la terapia fetale, incluse le trasfusioni fetali, è un’opzione attuabile da offrire alle famiglie con questa diagnosi” ha dichiarato il chirurgo MacKenzie.
Il ginecologo dell’equipe invece ha commentato “considerata una volta universalmente fatale, la talassemia può ad oggi essere trattata come una patologia cronica. Il trapianto di cellule staminali in utero può rappresentare un passo ulteriore: quello di una malattia che può essere trattata con successo prima della nascita” – (E. Vichinsky).
Ha inoltre prospettato la possibilità che tale terapia venga applicata anche al trattamento della beta talassemia, dell’anemia falciforme e di altre malattie genetiche mortali.
Una possibilità, quest’ultima, che comporterebbe un punto di svolta per queste patologie. Non ci resta che attendere, incrociando le dita.
FONTI e APPROFONDIMENTI| MedicalExpress; Idrope fetale