È stato il primo chirurgo al mondo ad usare i Google Glass durante un intervento chirurgico. Pioniere della realtà aumentata in ambito medico, il Dr. Rafael Grossmann ha deciso di raccontarci, con un’intervista esclusiva per l’Italia, come è nata la sua intuizione del futuro e perché la tecnologia non è il fine ma il mezzo per raggiungere l’obiettivo di ogni cura: tornare a essere pienamente umani, oltre che in salute. Un’intervista a cura del Dr. Nicola Marino per DigitalUHealth. 

La prima domanda che vorrei porle riguarda la sua vita. Come è nata la sua passione riguardo le nuove tecnologie e come queste stanno rivoluzionando la medicina?

In chirurgia usiamo continuamente nuove tecnologie e applicativi per migliorare il lavoro che facciamo. Il modo in cui oggi svolgo la mia attività è per molti aspetti diversa rispetto a quando ho fatto pratica negli anni ‘90. Sono originario del Venezuela dove ho completato gli studi di medicina e da dove sono poi partito per Ann Arbor nel Michigan per il praticantato in chirurgia. Proprio in Venezuela ho fatto l’esperienza diretta di condizioni in cui avevamo chiaramente bisogno di strumenti che purtroppo non erano disponibili, l’accesso stesso alla sanità era davvero difficile. Quella è stata la scintilla che mi ha reso appassionato alla telemedicina, come strumento per superare questi limiti. Credo che sia quello il periodo in cui la mia passione ha avuto inizio. Da quel momento la telemedicina è cambiata, si è evoluta in nuovi strumenti, non solo schermi ma smartphone e numerosi altri device in grado di connettere e comunicare meglio che in passato.

Lei è stato il primo a realizzare un intervento chirurgico usando i Google Glass. Potrebbe descrivere la sua esperienza e secondo lei quale sia il potenziale di questa tecnologia in medicina?

Quando ho sentito dei Google Glass, grazie a Babak Parviz, uno degli inventori dei Google Glass, e quando mi sono stati presentati all’Exponential Medicine Faculty, ho immediatamente pensato che gli smart glass avrebbero potuto cambiare l’approccio alla medicina in generale, e dell’educazione. Poche settimane dopo averli scoperti, ho avuto l’opportunità di ricevere un prototipo come parte dell’Explorer Program e la prima applicazione che mi venne in mente fu lo streaming delle procedure mediche ad un gruppo di studenti che si trovavano in un luogo molto distante dal mio. Trasmettere in tempo reale il mio punto di vista, la prospettiva della metodica chirurgica direttamente attraverso i miei occhi, parlare con gli studenti in modo che potessero pormi domande e io rispondere immediatamente, era una possibilità magnifica. Volevo migliorare il modo in cui loro apprendono, quindi perchè non usare uno strumento, nato per il divertimento, per educare i futuri professionisti della salute e potenzialmente migliorare l’intero sistema sanitario? Non avevo bisogno di modificare in alcun modo i Glass. Ho semplicemente chiesto il permesso dei pazienti, dei loro famigliari e del mio capo e fu un successo totale. Generò una forte emozione collettiva, era rivoluzionario usare gli smart glass per comunicare meglio tra professori, studenti, pazienti e medici. Penso sia stata un’esperienza unica e di grande impatto nell’ambito di come usiamo la tecnologia per migliorare la terapia.

Secondo lei, come riassumerebbe i principali benefici offerti dagli smart glass in medicina ed educazione?

Per prima cosa, avere tutte le informazioni davanti i propri occhi senza dover cercare nulla manualmente è un primo grande beneficio.

Inoltre, poter trasmettere in tempo reale cosa sto facendo a qualcuno che si trova distante da me, qualcuno che può imparare da me o che può insegnarmi nuovi modi di eseguire la stessa tecnica, una sorta di consulente remoto, questo rappresenta un enorme passo avanti.

Oltre a diversi TEDx ed eventi internazionali, lei ha partecipato anche alla facoltà dell’Exponential Medicine della Singularity University. Quali sono le tecnologie esponenziali che ci accompagneranno nel prossimo futuro della medicina?

Penso sia in primis le diverse applicazioni della digital health. Si parte dagli smart glass, l’intelligenza artificiale (o l’intelligenza aumentata) e il deep learning che stanno cambiando l’accesso e il modo in cui gestiamo la salute, e l’educazione. La blockchain, utilizzata per migliorare come trasmettiamo i dati e per mantenere tali informazioni sicure. La robotica, che in chirurgia sta rivoluzionando la routine medica grazie agli assistenti robotici. Credo personalmente che nei prossimi 3 anni non solo avremo assistenti robotici ma che tali sistemi si arricchiranno della componente autonoma grazie alla IA e al deep learning. Un’altra tecnologia chiave è la genomica e le nanotecnologie, soprattutto le nanoparticelle in grado di distribuire i farmaci in maniera estremamente mirata e personalizzata. O la realtà virtuale, aumentata e mixed reality capaci di innovare l’educazione medica e l’esperienza della terapia dei pazienti.

La componentistica sta diventando sempre più piccola, economica, veloce e di migliore qualità. Pensiamo solamente ai droni e come siano progressivamente diventati importanti in salute, come nel caso dell’azienda Zipline che si occupa di distribuire medicinali in zone remote dell’Africa in modo più accessibile. Ecco cosa dobbiamo cambiare: il modo in cui si accede alla salute. Droni che distribuiscono rifornimenti e scorte, dispositivi stampati in 3D, tutti questi sistemi possono cambiare lo stato attuale della medicina. Nel prossimo futuro solo in USA, 10 città inizieranno programmi di utilizzo dei droni per distribuire in modo controllato defibrillatori in situazioni di emergenza.

La tecnologia in medicina è importante, ma non pensa che il vero obiettivo sia quello di umanizzare la salute e migliorare le relazioni tra medici e pazienti?

Assolutamente, questo è il principale obiettivo. Dai medici agli infermieri fino ai pazienti, il fine è quello di rendere l’intero processo sanitario quanto più umano possibile. Se si usa la tecnologia in modo opportuno possiamo migliorare le relazioni umane tra medici e pazienti. Il problema si pone quando la tecnologia non viene utilizzata correttamente e invece che avvicinare ci separa dai pazienti e dalle loro famiglie. Nel caso dei Google Glass, esiste ad esempio un’azienda che ha implementato la tecnologia in maniera molto smart è Augmedix. Il medico, invece di perdere tempo a cercare informazioni sul proprio computer o a registrare informazioni durante la visita, può concentrarsi esclusivamente sul paziente, richiamando qualsiasi dato di cui abbia bisogno istantaneamente sullo schermo dei Glass. Questo non è un dettaglio da poco. Pensiamo solo che secondo le ultime ricerche, un solo minuto extra dedicato al paziente durante la visita è in grado di ridurre dell’8% la probabilità con cui il paziente avrà bisogno di essere riammesso in ospedale. E’ un cambio di paradigma grazie ad un’implementazione efficace della tecnologia nella routine medica.

 Il digitale come strumento per un’innovazione agile della salute

a cura del Dr. Valentino Megale, Co-Fondatore di DigitalUHealth

 L’evoluzione della salute in chiave digitale, in un hashtag #digitalhealth, ha seguito un percorso del tutto simile a quello del digitale di massa: all’inizio di nicchia, complessa e rivolta a pochi esperti, vista perlopiù come evitabile accessorio dell’iter sanitario, per poi rivelarsi, in tempi troppo rapidi per un’attenta riflessione, un’esplosione di potenzialità tanto accessibili quanto difficili da gestire perché mancanti di una controparte di cultura professionale in grado di coglierne limiti e opportunità.

Anche se il termine digital health, come anticipato dal mio collega Vincenzo Marra nel suo precedente articolo di DigitalUHealth, è stato introdotto già nel 2000 (quasi 20 anni fa ormai!), sembra davvero che le sue iterazioni tecnologiche, dai Big Data all’intelligenza artificiale (IA), dalla robotica di precisione alle ambientazioni immersive (realtà virtuale e aumentata, ossia VR e AR) siano comparse quasi a sorpresa nella vita di medici e pazienti. Ne intuiamo il potenziale, non sappiamo bene come funzionano e, per paura di sbagliare (o innovare), le releghiamo all’ultimo posto della scala di priorità operative. E al primo posto di convegni e conferenze, creando una netta discrepanza nelle aspettative di chi ascolta.

Digital health o digital therapeutics non è più solo una definizione, una voce su Wikipedia. Questo complesso e variegato universo è oggi rappresentato da iniziative concrete come la Digital Therapeutics Alliance, nata con lo scopo di promuovere una cooperazione più strutturata tra healthcare tradizionale e innovazione digitale, favorendo la validazione scientifica dei progetti digitali e diffondendo/difendendo il suo potenziale attraverso una comunicazione rigorosa, lontana da sensazionalismi e concreta nelle prospettive a breve termine. Digital health, insomma, non è più solo teoria ma sempre più prassi in sanità e società.

In ambito medico-sanitario il digitale si scontra tuttavia con tempi di implementazione che sono notoriamente lunghi, per dirla con un eufemismo. C’è chi parla di una media di 17 anni. Una media comprensibile per farmaci e protocolli terapeutici, ma che nel caso della digital health diventa completamente fuori luogo, slegata dalle sue reali dinamiche.

Bisogna sottolineare che la digital health è ricerca, ma ricerca legata intimamente all’imprenditorialità agile che abbiamo imparato a conoscere con le startup nell’ultimo decennio, basate non tanto su strumenti tecnologici assoluti, quanto sulla proposta di modelli innovativi. Modelli di gestione dell’assistenza sanitaria, modelli di approccio ai pazienti, modelli di trattamento ed elaborazione dei dati sanitari.

I tempi talvolta biblici della burocrazia sanitaria mal si adattano alle tempistiche di startup e giovani innovatori, creando un divario doloroso sia in termini di comunicazione che valorizzazione delle nuove idee. La necessità di ridurre sprechi, migliorare la produttività ospedaliera, facilitare l’esperienza terapeutica dei pazienti è evidente. Tuttavia il contesto in cui risolvere questi problemi è nuovo, richiede un migliore equilibrio tra cautela e agilità, una misura più realistica delle risorse a disposizione e di come e quando utilizzarle.

Per far fronte a dinamiche nuove, è necessario che il sistema sanitario si impegni a valorizzare questa mole di innovazione con processi regolatori aggiornati, efficienti e su misura, come nelle ultime linee guida proposte dall’FDA in ambito software. Ed è fondamentale istituire task force composte da specialisti in grado di parlare la stessa lingua della tecnologia ma anche capire empaticamente le necessità e le condizioni di pazienti e medici. Solo se il sistema sanitario diventerà capace di ascoltare e capire l’innovazione con cognizione di causa potrà a quel punto trasformare la digital health in applicazioni concrete, velandone la complessità intrinseca con l’immediatezza dell’utilizzo, riducendo inutili incomprensioni, burocrazie e sprechi.

In tale scenario, il progetto che abbiamo chiamato DigitalUHealth è il nostro personale contributo all’innovazione della salute. Il nostro obiettivo è stimolare questo dialogo, suggerire domande che richiedano azioni e dar voce a chi la digital health la fa, tra sfide e passione. Continuate a seguirci, e soprattutto, parliamone insieme.

 

FONTE | (1) https://www.healthcaredive.com/news/ama-ceo-james-madara-digital-health/519341/, (2) https://www.dtxalliance.org/; (3) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3241518/ M;(4)https://www.fda.gov/MedicalDevices/DigitalHealth/DigitalHealthPreCertProgram/default.htm