Malattie gastrointestinali: un’arma dai batteri “detective”

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Nel film del 1966 “Viaggio allucinante” un gruppo di medici e scienziati viene ridotto, grazie alla scoperta di una nuova tecnologica, a dimensioni microscopiche con lo scopo di essere “iniettati” all’interno del corpo di un diplomatico statunitense con l’obbiettivo di curarlo e salvarlo. Nelle decadi susseguenti la scienza è sempre stata alla ricerca di un modo per poter studiare l’uomo “dall’interno”.

IMBED

In un articolo pubblicato il 24 maggio su Science, ricercatori del MIT di Boston – Dr.Chandrakasan , Dr.Phillip Nadeau e Mark Mimee – hanno realizzato un dispositivo “simile” al sottomarino citato prima: un chip commestibile che, una volta introdotto nell’apparato gastro-intestinale, è capace di rivelare la presenza di un sanguinamento.

La differenza qual è? Che in questo caso non ci sono scienziati o uomini a bordo del chip, ma semplici batteri.

Il nome completo del dispositivo è IMBED (Ingestible micro-bio electronic device) e promette di riuscire a diagnosticare, combinando sensori biologici ingegnerizzati assieme a dispositivi elettronici wireless, patologie “interne” con una metodica real-time.

Una storia cominciata tempo fa

L’idea di creare batteri “detective” per riconoscere patologie e/o marker vari non è nuova: nei decenni precedenti i ricercatori hanno creato dozzine di batteri bio-ingegnerizzati in grado di riconoscere stimoli ambientali (per esempio, elementi inquinanti) o marker di patologia (come un particolare metabolita nelle urine).
Sono anche state create anche delle “risposte” batteriche: una volta che questi avevano riconosciuto lo stimolo, grazie all’ingegneria genica, erano in grado di rispondere emettendo luce e/o producendo particolari metaboliti.
Ma la maggior parte delle volte, per analizzare queste risposte erano necessari setting laboratoriali complessi con risultati ottenuti dopo giorni e quindi non in “real-time”.

Ebbene, l’idea innovativa del MIT consiste sì nell’impiegare cellule batteriche ingegnerizzate per riconoscere determinati stimoli, ma la risposta – positiva o negativa che fosse – sarebbe stata convertita in un segnale wireless facilmente captabile ed interpretabile da semplici apparecchiature.

Dalla biologia all’elettronica

Nella prima parte dello studio, i ricercatori si sono focalizzati nel realizzare ceppi bio-ingegnerizzati di Escherichia Coli che esprimessero un trasportatore (ChuA) per l’eme.
Quando l’eme fosse stato più concentrato all’esterno del ceppo batterico sarebbe stato portato all’interno dal trasportatore e, in risposta a questo, E.Coli avrebbe emesso un segnale bio-luminescente. Non restava che raccordare la parte biologica con quella elettronica.

I batteri sono stati posti in quattro pozzetti all’interno di un chip elettronico ed ognuno è stato rivestito esternamente da una membrana semipermeabile che consentiva la diffusione di molecole (l’eme in questo caso, ma l’esempio può applicarsi a qualsiasi molecola purché capace stericamente di passare).
Una volta diffuse e riconosciute le molecole, i batteri avrebbero emesso un segnale luminoso che a sua volta sarebbe stato captato da un foto-recettore, sempre incluso nel chip elettronico.Questo segnale luminoso, sarebbe stato quindi convertito in un codice che, trasmesso tramite tecnologia wireless ad un dispositivo ricettivo posto all’esterno del corpo umano, sarebbe stato interpretato come segnale positivo di patologia.

Paradossalmente, è come se il corpo umano facesse da “router” , senza però pagare alcun abbonamento internet.

Il tutto è racchiuso in una piccola struttura cilindrica di circa 3 cm dotata di una batteria da 2.7 Vin grado di poter durare per più di un mese. Secondo gli esperimenti condotti dal Dr.Chandrakasan, sarebbe possibile integrare un sistema di cellule voltaggio-dipendente in grado di auto-sostenere l’autonomia del dispositivo tramite i succhi acidi dello stomaco.

Batterio: l’accendiamo?

A questo punto, dopo le conferme degli studi in-vitro, è il momento di passare ad un’analisi in vivo: l’obbiettivo è quello di verificare se questo sistema è in grado di riconoscere la presenza di un sanguinamento gastrointestinale.

La capsula è stata fatta ingerire ad alcuni suini a cui era stato precedentemente somministrato 0.25 ml sangue neutralizzato con una soluzione di glucosio-bicarbonato (necessaria ad evitare che il basso pH interferisse con il sistema batterico) e sorprendentemente, in tempi piuttosto ristretti, il sistema ha fornito una risposta wireless positiva.

Questo sistema permetterebbe ai pazienti di evitare l’approccio endoscopio che, benché utile e accurato, richiede molto spesso la sedazione, con possibili effetti collaterali annessi.

Ulteriori utilizzi

Il gruppo di ricerca non si è fermato a questo e ha creato dei batteri ingegnerizzati che riconoscessero (sempre con la stessa procedura) ulteriori due molecole:

  • Tiosolfato: correlato all’infiammazione. Potrebbe quindi essere utilizzato per monitorare lo status dei pazienti con patologie infiammatorie cronice (es. Morbo di Crohn).
  • Omoserina Lattone Acilato: prodotto del quorum sensing, utile per evidenziare eventuali infezioni del tratto GI o patobionti nel microbiota intestinale.

Sorprendentemente, i risultati sono stati positivi anche in questo caso.

Per l’impiego sull’uomo, restano però da risolvere due questioni:

  1. Ridurre la dimensione della capsula-chip, leggermente troppo grossa per essere deglutita facilmente
  2. Cercare di creare dei sistemi che rendano i batteri, e la capsula, maggiormente resistenti nel lungo periodo, allo scopo di creare un sistema che monitori (per giorni o settimane) la situazione GI emettendo continui segnali che i ricercatori possano interpretare.

In questo video vi mostriamo come funziona il dispositivo:

 

Prospettive future

I ricercatori si dicono entusiasti dei risultati raggiunti: si è infatti vicini alla creazione di un device “universale”, impiegabile per qualsiasi patologia si voglia purché produca markers e/o molecole patognomoniche che consentano di identificarla senza errori.

Non solo: precedentemente si è detto di aver creato 4 pozzetti batterici. Ma chi impone di non poterne realizzare 16, 256, o 1000?
Si potrebbe creare un sistema di lettura e analisi di multipli markers contemporaneamente che, generando segnali luminosi a differenti lunghezze d’onda, potrebbe essere in grado di integrarne l’analisi aumentando la precisione e la versatilità dell’indagine.
L’era di un “check-up totale commestibile” è alle porte.

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