Il 13 luglio scorso la FDA si è pronunciata per approvare Tecovirimat, il primo farmaco utile a contrastare il Vaiolo, malattia che l’OMS ha dichiarato eradicata quasi 40 anni or sono.
Una notizia tutt’altro che anacronistica
Per un minuto la mente si è catapultata a una ventina di anni fa.
Mi figuro piccola e curiosa osservatrice del braccio di mia madre con una strana cicatrice, sorprendentemente coriacea al tatto. Ed ogni volta che la mia attenzione si concentrava a quel dettaglio, prontamente domandavo cosa mai fosse e soprattutto come se la fosse procurata. Così lei è stata la prima persona a parlarmi della malattia infettiva del Vaiolo e della metodica –per me tutta nuova e alquanto bizzarra – con cui si veniva vaccinati.
Qualche anno dopo avrei scoperto che proprio da quella malattia Edward Jenner diede il primo, indispensabile contributo ad una pietra miliare della terapia: il principio della vaccinazione.
Da quei momenti iniziai a notare, sempre e involontariamente, quella cicatrice sulle braccia di tutti gli adulti intorno a me, regalandomi così una prima stima dell’importanza e della valenza di quella pratica. E in effetti il Virus Variola, con il suo 30% di mortalità, rappresenta una minaccia per l’uomo da tempi immemori – ci sarebbero testimonianze a partire dal X secolo a.C. – per poi essere dichiarato definitivamente eradicato dall’OMS secoli e secoli dopo, nel 1979.
Dunque la notizia di un farmaco che curi un virus non più diffuso in natura suona, ad oggi, alquanto anacronistica. Eppure l’esigenza risulta impellente dal 2001 ed ora il farmaco è finalmente disponibile.
Il motivo? La minaccia ben più spaventosa del Bioterrorismo.
Il Vaiolo: storia di una malattia devastante
Il Vaiolo è una malattia pandemica causata dal virus Variola, un virus a DNA del genere Orthopoxvirus che clinicamente si distingue in due forme: Variola Minor (mortalità sotto l’1%) e Major. La più comune è causata dal virus Variola major, che si caratterizza per febbre elevata e per le celebri pustole ulceranti, diffuse su tutto il corpo. Del genere Major si distinguono ulteriori quattro forme: ordinario, lieve (colpisce generalmente i vaccinati), maligno ed emorragico.
Una volta entrati in contatto con il virus, il periodo di incubazione può variare dai 7 ai 20 giorni per poi lasciare spazio al sopraggiungere dei primi sintomi: febbre, dolori muscolari, emicrania. Dopo i primi giorni di febbre iniziano a comparire macchie rosse che a partire dalla mucosa orofaringea, si diffondono su tutto il corpo. Le macchie si accompagnano ad un abbassamento della temperatura corporea ed evolvono in ulcere infette che, a guarigione avvenuta, lasciano terribili cicatrici. Il contagio può avvenire durante la fase acuta della malattia e perdura fino alla cicatrizzazione delle pustole.
Nel corso della storia il virus del vaiolo si è fatto protagonista di atroci pandemie. Si stima infatti che fino al XVIII secolo una persona su dieci moriva di vaiolo. I primi tentativi di immunizzazione sembrerebbero databili intorno al X secolo in Cina mediante la pratica della variolizzazione, consistente nel mettere in contatto la mucosa nasale del soggetto sano con una polvere ottenuta dalle croste di un soggetto in via di guarigione. Altra pratica prevedeva un contatto più diretto ed un’inoculazione. Entrambe le pratiche tuttavia si rivelavano molto rischiose e si dovrà attendere il 1796 per una prima formulazione del vaccino di Jenner. Da lì si dovrà attendere il 1979, quando grazie ad una campagna di vaccinazione dell’OMS fu dichiarata la totale eradicazione del virus.
Il Bioterrorismo: arma intelligente e minaccia silenziosa
Quando Bill Gates mesi fa ha fatto parlare di sé divulgando la notizia di una possibile pandemia che avrebbe sterminato almeno 30 milioni di persone, magari era solo il caso di un paperone divertitosi a dispensare complotti. Ma sul principio non si è sbagliato: le pandemie sono come le guerre e l’uomo dovrebbe essere sempre pronto a fronteggiarle. Tanto fanno gli Stati Uniti dal tragico attentato del 2001, dopo il quale iniziò a incombere un concreto pericolo di terrorismo biologico, inteso come utilizzo intenzionale di agenti biologici (tossine, virus, batteri) al fine ultimo di ledere l’incolumità comune mediante atti, appunto, di terrorismo.
A tal proposito, il virus del vaiolo è in lizza tra i migliori candidati quale possibile arma biologica di ampia efficacia. Le ultime riserve conosciute del virus ad oggi sono conservate ad Atlanta, negli USA e a Koltsovo, in Russia. Sono riserve centellinate all’unico scopo di ricerca, su cui ci sono limitazioni rigorose che rendono ancora più complicato il perseguimento di una conoscenza approfondita dei meccanismi molecolari di patogenesi. Tale patogenesi risulta già di per sé ostica, essendo l’essere umano l’unico ospite del virus del Vaiolo. A questo è da aggiungere che oggigiorno gran parte della popolazione non risulta vaccinata e l’eventuale trattamento con il vaccino post esposizione al virus, rischia di essere più gravosa che benefica.
Il valore del nuovo farmaco Tecovirimat
Si evince dunque l’esigenza sempre maggiore di una contromisura efficace. Dopo anni di studi è oggi approvato l’antivirale Tecovirimat, che accoglie il parere favorevole dello stesso presidente FDA Scott Gottlieb, il quale ribadisce l’impegno dell’autorità ad assicurare prontezza in caso di emergenza per la salute pubblica. Il Tecovirimat, un piccolo inibitore molecolare che attacca l’involucro virale, si è dimostrato efficace in vari modelli animali. Sebbene si teme il rischio di sviluppo di una possibile resistenza, è stato il primo fra gli antivirali in studio ad essere valutato anche sicuro. Dunque un primo passo che dà entusiasmo ad una ricerca difficile ed indefessa, che si prefissa il nobile obiettivo di fronteggiare un’intimidazione al momento ancora controllata dall’Uomo, ancora una volta potenzialmente capace di svalutare una vittoria costruita nel tempo.
Fonti| ISS; Drugs.com; Medscape
[NdR: Il vaiolo parrebbe avere un’origine antichissima: pare che sia stato la causa di morte pure del faraone Ramses V. Recenti studi parrebbero contrastare con questa ipotesi suggerendo che il virus, per come lo conosciamo oggi, sia più recente
Fonti| Cell: the Recent History of Smallpox; britannica.com: Ramses V ]